In preparazione della verifica (svoltasi il 29 ottobre) delle certificazioni ISO 9001 e BTC, Biosafety Trust Certification, Montallegro ha approvato il proprio Piano triennale per la prevenzione delle infezioni ospedaliere con particolare riferimento all’insorgenza delle antibiotico-resistenze. Con il direttore sanitario Roberto Tramalloni, se ne è occupata la dottoressa Carlotta Meirana,farmacista titolare a Villa Montallegro dal gennaio 2020.

Montallegro Magazine ha intervistato Meirana sull’argomento.

Questo Piano triennale è un obbligo per le strutture ospedaliere?

«Il Piano triennale per la prevenzione delle infezioni ospedaliere non è un obbligo per le strutture ospedaliere bensì uno studio fortemente voluto dal direttore sanitario Tramalloni nell’ambito delle attività di gestione del rischio del Comitato per il controllo delle infezioni ospedaliere».

– Perché vengono definite le indicazioni e le raccomandazioni per l’impiego di antibiotici in profilassi pre e/o perioperatoria?

«Lo scopo è quello di razionalizzare l’uso degli antibiotici sulla base delle evidenze scientifiche, riportate nelle linee guida dell’ISS, Istituto superiore di Sanità, riducendo il rischio di insorgenza di antibiotico-resistenze batteriche».

– Che cosa è l’antibiotico-resistenza?

«L’antibiotico-resistenza è un fenomeno di adattamento di alcuni microrganismi, che acquisiscono la capacità di sopravvivere o di crescere in presenza di una concentrazione di un agente antibatterico, che è generalmente sufficiente a inibire o uccidere microrganismi della stessa specie. Si parla di resistenza intrinseca quando è dovuta alla natura del microrganismo stesso, che non è mai stato sensibile a un particolare antimicrobico. Si parla invece di resistenza acquisita quando il microrganismo, in precedenza sensibile a un particolare antimicrobico, sviluppa in un secondo tempo resistenza nei suoi confronti».

– È noto che l’introduzione di ogni nuovo farmaco è accompagnata, dopo un periodo di tempo più o meno lungo, dalla comparsa di microrganismi resistenti. Come si raggiungono livelli sempre più elevati di appropriatezza clinica e organizzativa in ambito chirurgico?

«Dal 1945 in poi, la relazione strettissima tra uso di antibiotici e prevalenza di antibiotico-resistenza è stata documentata innumerevoli volte, in tutti gli ambiti di utilizzo. Rispetto ad altri farmaci, l’uso inappropriato di antimicrobici pone questioni particolari di natura clinica ed etica, poiché contribuisce appunto alla selezione di ceppi resistenti e quindi a rendere inefficace il farmaco con conseguenze sui pazienti e sull’intera collettività. Livelli sempre più elevati di appropriatezza clinica e organizzativa in ambito chirurgico si raggiungono grazie alla revisione dei percorsi chirurgici e degli eventuali comportamenti inappropriati da parte degli operatori (medici e infermieri). Ruolo rilevante è svolto dal Comitato per il controllo delle infezioni ospedaliere».

– È per questi motivi che, una volta identificati i microrganismi presenti grazie a test microbiologici, è necessario variare l’antibiotico, passando a una terapia mirata adeguata allo specifico microrganismo?

«In caso di un’infezione, spesso il microrganismo può non essere identificato immediatamente e una terapia empirica ad ampio spettro viene impostata per eradicare una vasta gamma di microrganismi. Il regime antimicrobico iniziale viene solitamente rivalutato dopo 48-72 ore sulla base dei dati microbiologici e clinici, con lo scopo di impiegare antibiotici il più possibile mirati per limitare lo sviluppo di resistenze e ridurre la tossicità».

– Prima di un intervento chirurgico si può valutare di applicare una profilassi antibiotica, cioè si somministra un farmaco antimicrobico. Come viene scelto il farmaco e quanto deve durare la somministrazione?

«La scelta dell’antibiotico più appropriato dovrebbe ricadere sulla molecola che non rientri di regola tra i farmaci utilizzati in terapia, per ridurre il rischio d’insorgenza di antibiotico-resistenze; che raggiunga concentrazioni sieriche e tessutali elevate in breve tempo; che abbia un’azione battericida e uno spettro d’azione rivolto verso i microrganismi potenziali cause d’infezione ma non appartenga necessariamente alla categoria dei farmaci ad ampio spettro e che a parità di efficacia, abbia minori effetti collaterali. La durata della somministrazione dovrebbe essere una o due volte al giorno per antibiotici che agiscono a concentrazioni di picco elevate mentre, in un’unica somministrazione per classi di antibiotici il cui effetto è associato al raggiungimento di alte concentrazioni di picco (esempio aminoglicosidi). L’infusione prolungata nel tempo è indicata per specifiche classi di antibiotici (cefalosporine, glicopeptidi come vancomicina) il cui effetto è ottimizzato dal mantenimento nel tempo di concentrazioni opportune».

– Nel Piano avete classificato gli  interventi  in  base  al  grado  di possibile contaminazione batterica, dividendoli in quattro classi a seconda del grado di contaminazione e della conseguente incidenza di infezioni post operatorie.  Cosa comporta questa classificazione dal punto di vista della scelta della profilassi?

«La profilassi antibiotica è sicuramente vantaggiosa nella chirurgia pulita con impianto di protesi e negli interventi chirurgici di elezione pulito-contaminati e qualora l’insorgenza di infezione possa avere conseguenze letali. L’antibiotico profilassi non è indicata per gli interventi chirurgici nei quali il rischio di infezione sia basso e gli effetti indesiderati legati all’uso dell’antibiotico (reazioni avverse, superinfezioni micotiche, insorgenza di antibiotico resistenze) siano superiori ai vantaggi».

– Quando, invece, l’impiego di antibiotici non ha uno scopo profilattico, ma terapeutico?

«Nel trattamento dei pazienti con infezioni gravi, uno degli interventi prioritari è rappresentato dalla tempestiva somministrazione di una terapia antibiotica appropriata. La terapia antibiotica iniziale deve risultare appropriata e efficace in termini di molecola attiva contro i potenziali patogeni in causa e in dose più elevata possibile, iniziando possibilmente con una dose da carico, in modo tale che l’antibiotico raggiunga concentrazioni ottimali nel focolaio di infezione nel minor tempo possibile, seguita da una posologia di mantenimento adeguata alla funzionalità renale ed epatica del Paziente. Per la scelta dell’antibiotico, uno schema di terapia antibiotica appropriato per l’approccio empirico iniziale prevede l’inclusione di uno o più farmaci attivi contro i possibili patogeni (batteri o funghi); comprende farmaci in grado di penetrare efficacemente nei presunti focolai di sepsi e rispecchia la sensibilità all’agente antimicrobico dei microrganismi presenti come popolazione batterica normale (PBN) nell’ambiente».

 

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Scritto da:

Mario Bottaro

Giornalista.