È un riconoscimento prestigioso, che affonda le radici nella storia della medicina occidentale. Lo scorso 27 novembre, Samir Sukkar – specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva e in Scienza dell’alimentazione a indirizzo nutrizionistico e professore a contratto presso la scuola di specializzazione in Scienza dell’alimentazione dell’Università di Genova – è stato insignito della Gran Croce di Accademico della Scuola Medica Salernitana.

Si tratta di un’onorificenza di alto valore simbolico e scientifico: la Scuola di Salerno è considerata la più antica istituzione medica d’Europa, antesignana delle moderne università, celebre fin dal Medioevo per aver posto l’alimentazione al centro della prevenzione e della cura. Il premio valorizza un percorso professionale lungo oltre 40 anni, dedicato alla ricerca e all’applicazione clinica della nutrizione in ambiti complessi come l’oncologia e la gastroenterologia.

Abbiamo incontrato il professore in Montallegro, sede che ha scelto per la sua attività di libera professione, per commentare questo traguardo.

– Cosa rappresenta per lei ricevere un titolo dalla più antica scuola medica d’Europa?
«È un segnale importante perché riconosce l’attività svolta negli ultimi 43 anni, dalla mia laurea nel 1982 a oggi. La Scuola Medica Salernitana gode di un passato meritorio ed è stata la prima a focalizzare l’attenzione sugli aspetti nutrizionali connessi con la patologia. Per un medico specialista in Scienza dell’alimentazione e in Gastroenterologia, vedere riconosciuto il proprio lavoro da questa istituzione ha un significato cruciale. È la conferma del valore di un percorso che ha spaziato dalla nutrizione clinica nel paziente oncologico fino ai disturbi del comportamento alimentare».

– Durante la sua carriera, come è cambiato l’approccio alla nutrizione, in particolare in oncologia?
«Quando iniziai a occuparmi di nutrizione clinica nell’Istituto dei tumori di Genova, non si parlava di nutrizione in oncologia. Negli ultimi anni, finalmente, si è compreso che è un punto importantissimo nella cura del paziente, sia in termini di prevenzione sia di supporto durante il percorso terapeutico. Parallelamente, dal 2000 dirigo l’unità operativa di Dietetica e nutrizione clinica al San Martino, che è cresciuta in maniera straordinaria».

– Quali sono oggi le frontiere più calde della vostra attività di ricerca e assistenza?
«I fronti sono molti e diversificati. Seguiamo pazienti con disturbi del comportamento alimentare e abbiamo ricerche in corso sull’anoressia legata all’autoimmunità. Insieme alla cattedra di Neurologia abbiamo pubblicato studi importanti sugli autoanticorpi rivolti ai recettori dei neuropeptidi dell’appetito. Poi c’è la grande area dell’obesità: finalmente questa condizione ha avuto una connotazione ufficiale come vera malattia e non più come semplice fattore di rischio. Dirigo un centro di riferimento riconosciuto dalla European Association for the Study of Obesity (EASO). Inoltre, come presidente della “Dysphagia Academy“, lavoriamo sui percorsi per i pazienti con disturbi della deglutizione, in particolare gli anziani, sviluppando alimenti a consistenza modificata con progetti finanziati dalla Regione Liguria».

– Il premio sembra riconoscere non un singolo studio, ma una dedizione “a 360 gradi”.
«Sì, è un riconoscimento alla carriera e alla dedizione in tutte le aree della nutrizione clinica. Mi occupo anche di insufficienza intestinale cronica benigna, coordinando un progetto nazionale per pazienti trattati con farmaci innovativi come il teduglutide. Recentemente, inoltre, sono stato inserito nel Comitato nazionale per la sicurezza alimentare (CNSA) del Ministero della Salute. È un impegno faticoso, che richiede passione, ma necessario per garantire standard elevati».

– La Scuola Salernitana era celebre per la visione dell’uomo nella sua interezza. Oggi la medicina è sempre più specializzata. È necessario recuperare quello sguardo d’insieme?
«Assolutamente. La visione olistica è fondamentale. Purtroppo la medicina attuale tende a frammentarsi in superspecializzazioni. Il nutrizionista, in particolare, deve mantenere una visione all’antica: bisogna tornare all’ascolto del paziente, alla sua storia clinica, ai suoi sintomi. L’anamnesi spesso ci dice molto più di un esame strumentale. La mancanza di empatia e l’eccesso di tecnologia sono problemi reali; la visione olistica implica coordinare competenze diverse senza mai perdere di vista la persona».