– Perché ha scelto la specializzazione in anestesia e rianimazione che, tra l’altro, comporta un lavoro in un ospedale con limiti per la libera professione ?

«Ho pensato di intraprendere la carriera inizialmente come medico d’emergenza e poi come anestesista rianimatore dopo un triste episodio… Giovane medico neolaureato sbarcavo il lunario facendo le guardie mediche in una clinica termale. Una notte ero di guardia e una paziente purtoppo ha avuto un grave malore ed è mancata nonostante le mie cure. Si dice che il primo bacio non si scorda mai, ma la cosa vale anche per il primo decesso… Da quel momento ho deciso che mi sarei specializzato come medico per cercare di salvare più vite possibili, cosa che cerco di fare ogni giorno da ormai un quarto di secolo…».

– L’anestesista è paragonabile a un mediano che “tiene assieme” la squadra permettendo al chirurgo-bomber di andare in rete? O anche l’anestesista spesso diventa bomber?

«Raramente l’anestesista spicca nel team… Noi siamo quelli che rimangono nell’ombra, fuori dalla luce della lampada scialitica che illumina il campo operatorio. Siamo però quelli a cui il paziente affida la propria vita mentre il chirurgo opera, con l’occhio attento ai monitor e l’orecchio vigile agli allarmi. Io mi sento più un arbitro, pronto a cogliere quello che non va nel gioco e a rimediare. Senza cartellino rosso, però!».

-Quale è l’elemento fondamentale nel rapporto tra anestesista a paziente?

«La fiducia! È l’elemento fondamentale di ogni rapporto medico/paziente, ma nel nostro caso il paziente sa che affiderà la propria vita a un altro essere umano, mentre dorme nel sonno artificiale dell’anestesia e deve poter essere rassicurato che l’anestesista farà in modo di “traghettarlo” al risveglio in modo sereno e senza dolore».

– Ogni anestesista tende a specializzarsi su tecniche particolari. Per esempio le moderne tecniche che consentono la gestione del dolore dopo un intervento chirugico. Lei quali predilige e perché?

«Onestamente non ho una tecnica prediletta. Mi sento molto sicuro nei cosiddetti blocchi regionali ma a seconda del tipo di paziente e di intervento uso le diverse tipologie di tecnica analgesica che la scienza ci offre. Lo scopo finale comunque è arrivare a non far sentire male al paziente!».

– Un aneddoto che riassuma la sua esperienza professionale.

«Non ho un aneddoto particolare che mi venga in mente. Nella mia memoria sfilano le centinaia (o migliaia) di persone che ho addormentato e svegliato, quelle a cui ho salvato la vita e quelle che ho perso, i parenti a cui ho dato belle notizie e quelli che ho dovuto consolare. Siamo quelli che con i nostri aghi fanno sentire un po’ male al paziente per impedire di fargli sentire più dolore dopo… La mia battuta finale quando il paziente al termine dell’intervento mi dice: “Già fatto? Non ho sentito niente…” è rispondere ridendo: “Lo dice sempre anche mia moglie!”».

– Alcuni pazienti temono di “svegliarsi” durante l’intervento chirurgico: è possibile? Come si evita questo rischio?

«Purtoppo è un’evenienza estremamente rara ma possibile e descritta in letteratura. Le cause possono essere varie, dal malfunzionamento delle apparecchiature medicali, al dottodosaggio dei farmaci anestetici. Per ovviare ed evitare al paziente questa esperienza davvero terrificante oggi si monitorizza l’attività cerebrale con apparecchiature di cui le sale operatorie di Montallegro sono dotate, che monitorizza il paziente segnalandone lo “stato di addormentamento”».

– Lei ha un passato in strutture pubbliche, ma ha scelto di entrare in una casa di cura privata. Quale è il progetto che l’ha convinta a fare questo passo?

«Dopo tanti anni dedicati al lavoro nel settore pubblico purtroppo mi sono reso conto che l’appiattimento dei ruoli, la scarsa incentivazione, la mancanza di un riscontro nel lavoro effettuato a fronte di turni pesanti sia fisicamente sia psicologicamente mi avevano provocato uno stato di burnout da cui non riuscivo a uscire… L’idea di Montallegro di formare un pool di specialisti in anestesia mi ha entusiasmato e coinvolto positivamente».

– A Montallegro il gruppo di anestesisti è considerato un elemento di qualità e di riconoscibilità. Lei come vive questa esperienza

«Mi sento di far parte di un gruppo con uno scopo, pur venendo tutti da realtà diverse. Il rapporto diretto con i vertici della casa di cura mi permette di sentirmi non come un semplice ingranaggio ma come un elemento importante su cui contare».

La scheda di David Razzoli.

Qui il filmato dell’intervista doppia Giovanni Mancuso-David Razzoli.

Scritto da:

Mario Bottaro

Giornalista.