– Perché ha scelto la specializzazione in anestesia e rianimazione che, tra l’altro, comporta un lavoro in un ospedale con limiti per la libera professione ?

«Appena laureato in realtà non avevo idee cosi chiare. Ho fatto esame di ammissione sia alla scuola di oculistica sia a quella di anestesia, non sono stato ammesso alla prima e il destino si è compiuto così. Ora devo dire che il destino è stato bravo a vederci più lungo di me, negli anni questo lavoro mi si è cucito addosso e ora non mi vedrei con nessun altro abito».

– L’anestesista è paragonabile a un mediano che “tiene assieme” la squadra permettendo al chirurgo-bomber di andare in rete? O anche l’anestesista spesso diventa bomber?

«Ma magari giocare entro i limiti di un ruolo ben definito!, sarebbe più facile e sai quante responsabilità per non dire grane di meno… no, l’anestesista nella sua formazione e poi negli anni sul campo acquisisce conoscenze di tutte le specialità chirurgiche e mediche, sia acute sia croniche, e questo fa di noi dei jolly capaci di giocare a tutto campo, perdipiù h24. Bello ma ogni tanto una maledizione…».

  • Quale è l’elemento fondamentale nel rapporto tra anestesista a paziente?

«La fiducia, e il rispetto… non facile, bisogna sudarseli entrambi… garantire professionalità e essere capaci e se non lo si è imparare ad ascoltare».

– Ogni anestesista tende a specializzarsi su tecniche particolari. Per esempio le moderne tecniche che consentono la gestione del dolore dopo un intervento chirugico. Lei quali predilige e perché?

«Premesso che per fortuna a oggi le tecniche di controllo del dolore post operatorio sono molte e sempre più efficaci, personalmente sono un tifoso della tecnica peridurale… semplice, efficace, con pochissime controindicazioni a fronte di un risultato sempre ottimo e ben gestibile nel tempo modulando la durata e la profondità in base alle esigenze e il vissuto del paziente. Insomma, mi piace».

– Un aneddoto che riassuma la sua esperienza professionale.

«Tanti tanti anni fa, alla fine della visita preoperatoria, il paziente in programma per il giorno dopo: ” Ma, mi tolga una curiosità, voi anestesisti siete medici?”. Ecco, ho capito che c’era da lavoraci su…».

– Alcuni pazienti temono di “svegliarsi” durante l’intervento chirurgico: è possibile? Come si evita questo rischio?

«Ahimè si, risveglio possibile, gli americani ci hanno anche fatto un film parecchi anni fa… per fortuna però oramai improbabile. Il monitoraggio del paziente in sala operatoria è cosi completo da metterci a disposizione strumenti sempre più raffinati dedicati proprio al controllo della profondità del livello di anestesia e di conseguenza lo stato di coscienza del paziente. E poi esperienza, e poi attenzione. Sempre».

– Lei ha un passato in strutture pubbliche, ma ha scelto di entrare in una casa di cura privata. Quale è il progetto che l’ha convinta a fare questo passo?

«Non “quale” progetto, direi semplicemente “un” progetto, un gruppo di persone che si riunisce, ne parla, ti coinvolge, ci tiene ad ascoltarti e lo fa in modo semplice e diretto, step by step… la percezione di idee, di volontà di crescita… movimento… orgoglio di appartenenza… il vuoto mi aveva nauseato…».

– A Montallegro il gruppo di anestesisti è considerato un elemento di qualità e di riconoscibilità. Lei come vive questa esperienza?

«Un bellissimo gruppo, sì, veramente di un livello altissimo… anche umanamente, che non è facile. Tanti stimoli, non posso che cercare di dare il mio meglio. Rimbocchiamoci le maniche».

La scheda di Alberto Cecchini.

Qui il filmato dell’intervista doppia Alberto Cecchini-Luca Cevasco

Scritto da:

Mario Bottaro

Giornalista.