Il dottor Matteo Formica, ortopedico con studio in Montallegro, ha una bella storia da raccontare. Ed è la storia di Giovanni Vattuone, 108 anni il prossimo 8 giugno. Giovanni, l’uomo più longevo della Liguria, è già stato presentato su Facebook sulla pagina degli ultracentenari d’Italia e compare sul sito della Federazione italiana biliardo sportivo che, cinque anni fa, pubblicava la sua foto in attività davanti al tavolo ricoperto di panno verde e con le bocce in mano. In pensione dalla sua salumeria a 65 anni, Giovanni ha da allora scoperto il biliardo. Come scrivono sul sito (dal quale preleviamo la foto di Giovanni, pubblicata più sotto), è “orgoglioso di questa tessera FIBiS che, al contrario della patente ritiratagli all’età di 100 anni, non ha scadenza, e che quindi nessuno gli potrà mai togliere”.

Ai primi di maggio il dottor Formica è stato contattato dal nipote di Giovanni: “Dottore, lo zio ha il femore rotto, ma ha 108 anni… Cosa possiamo fare?”.

Il resto della storia la lasciamo alle parole del dottor Formica (nella foto).

– E dopo quella telefonata?

«A priori un paziente di 108 anni spaventa non solo i familiari ma anche il medico che lo riceve in cura, soprattutto sapendo che fino ad allora le sue condizioni generali erano buone: Giovanni, per sua fortuna, non aveva mai avuto bisogno di ospedali. La volontà del paziente e dei suoi familiari era di gestire la frattura in Montallegro, anche per maggiore tutela nei confronti del problema legato al Covid che in quel momento travolgeva tutto il sistema sanitario».

– Che impressione le ha fatto il paziente?

«Quando in clinica ho conosciuto Giovanni, lucidissimo signore, sono stato travolto da una grande forza positiva nei confronti della vita. I suoi racconti vicini e lontani mi hanno fatto capire quanto lui fosse ancora attivo fisicamente e mentalmente. Meritava una chance di cura che potesse rimetterlo in piedi velocemente. E così abbiamo fatto».

– Ma non moltissimi anni fa la frattura del femore in un anziano era considerata grave, se non mortale. Come mai? Quali progressi sono stati fatti per superare quella prognosi infausta?

«Esatto. La frattura del femore in età anziana rappresentava in passato un fattore prognostico infausto per una grande percentuale di pazienti, soprattutto in relazione all’allettamento che ne conseguiva. Proprio per ridurre le complicanze quoad vitam, ha particolare importanza un timing capace di organizzare un tempestivo trattamento chirurgico con artroprotesi o osteosintesi, allo scopo di rimettere in piedi in prima giornata post operatoria il paziente. Si possono evitare così le temibili complicanze legate all’allettamento, in particolare le trombosi e le embolie polmonari. Ovviamente tale percorso può essere possibile solo con un team multidisciplinare che coinvolge diverse figure professionali quali ortopedico, anestesista, geriatra, fisiatra e personale infermieristico dedicato».

– E nel caso del vostro paziente?

«Nel caso specifico del nostro paziente, trattandosi di una frattura del collo del femore, il trattamento indicato era la sostituzione protesica dell’anca. Scopo dell’intervento è “rimuovere” letteralmente la superficie di frattura e sostituire la porzione articolare dell’anca con una protesi che, ancorandosi primariamente all’osso, consente un carico completo e immediato già nella giornata successiva all’intervento. Nel caso di pazienti molto anziani è oggi disponibile una protesi che utilizza una doppia articolarità della testa femorale impiantata, con il vantaggio di garantire un ottima escursione articolare riducendo il rischio di lussazione, una temibile complicanza legata all’indebolimento del tono muscolare in pazienti anziani».

– Quale può essere la riabilitazione necessaria in una persona in genere anziana e, nel caso, così anziana?

«A seguito dell’intervento chirurgico la riabilitazione deve essere altrettanto tempestiva e, mi passi il termine, “coraggiosa” soprattutto nel paziente molto anziano che godesse di una condizione clinica pre-frattura ancora buona. Solo insistendo nella ripresa precocissima della deambulazione si possono evitare pesanti ripercussioni sulle condizioni di salute generale del soggetto. Tale impegno non deve essere solo fisico ma anche di motivazione mentale per pazienti molto anziani che tendono, se non spronati, a “gettare la spugna”. Il merito di questi progressi va naturalmente attribuito al team riabilitativo che gestirà il paziente nelle settimane successive all’operazione: il chirurgo insieme al fisiatra deve trasmettere specifiche indicazioni ai fisioterapisti che al letto del paziente potranno praticare già nel pomeriggio dell’intervento esercizi specifici».

– L’intervento in una persona anziana è più delicato rispetto allo stesso intervento in una persona più giovane? Quali precauzioni è necessario assumere da parte dello specialista?

«Il paziente anziano è anche definito fragile. Questo termine fa ben comprendere quanto un gesto chirurgico anche minimamente invasivo possa rompere un equilibrio critico. Il paziente fragile ha spesso disturbi della coagulazione e un rischio di anemizzarsi maggiore, ha problemi di osteoporosi con difficoltà di tenuta all’osso dei sistemi di osteosintesi e delle protesi, ha un ridotto tono muscolare con maggiore rischio di instabilità e lussazione della protesi stessa. Innumerevoli altre comorbilità aumentano la difficoltà chirurgica. L’ortopedico deve entrare in sala operatoria con tutte le possibilità tecniche utili a risolvere le problematiche legate all’invecchiamento dei tessuti: mezzi di sintesi dedicati, sistemi di ancoraggio primario all’osso, protesi con minor rischio di lussazione. Le vie di accesso chirurgiche si sono negli anni perfezionate rendendo minimamente invasivo lo stress sulle strutture muscolari. L’anestesista può inoltre decidere di somministrare farmaci quali l’acido tranexamico che durante l’intervento riduce notevolmente il sanguinamento e di conseguenza la necessità di dover sottoporre il paziente ad emotrasfusioni».

– E Giovanni?

«Nove giorni dopo il ricovero, il nostro paziente di 108 anni è rientrato nella sua casa, proseguendo una riabilitazione domiciliare e ritornando alla vita che svolgeva prima della frattura. Grazie all’impegno dei sanitari, e soprattutto a quello di Giovanni, questa storia ci permette di condividere gli enormi passi avanti ottenuti dalla medicina in pazienti con frattura di femore in età anziana».

Scritto da:

Mario Bottaro

Giornalista.