Oggi le buone notizie sono davvero tante. E spero di non dimenticarmene nessuna. La prima è il ritorno a pieno regime dei “Mercoledì della cultura” di Villa Montallegro, con il corollario di “e non solo” – che vale per tutto, non solo per la possibilità di variare il giorno dell’appuntamento in settimana, ma proprio per la capacità degli appuntamenti di svariare su vari aspetti dello scibile umano – regalo che Francesco Berti Riboli fa alla comunità degli amici di Montallegro, alla cultura e alla città, che è qualcosa di altissimo e levissimo, come un’acqua preziosa, di fonte. Indispensabile per vivere.

Intendiamoci, “I mercoledì” non si sono mai fermati, nemmeno durante gli anni della pandemia e, anzi, il merito di Francesco è stato quello di rimanere aggrappato con le unghie e coi denti alle attività culturali anche negli anni scorsi, con un surplus di fantasia, con molte attività organizzate appena si potevano fare, sconfinamenti Oltregiogo e la maggior copertura possibile dei progetti sul Barocco e su Rubens anche uscendo dalle sedi principali, ma coinvolgendo tante altre parti della città. E poi Genova FBR60 e tanto altro.

Ma in tutto questo – con la benefica eccezione delle mostre a Villa Croce e a Palazzo Ducale, su Raimondo Sirotti, con le firme preziose di Richi Sirotti e Matteo Fochessati, e ho ancora i colori e la luce negli occhi – era rimasto ancora un po’ di appetito rispetto al menù di arte contemporanea. E per chi, come me, è una buona forchetta (eufemismo), mai metafora fu più azzeccata e non solo per i cocktail che spesso accompagnano le mostre. A proposito, divino il pesto assaggiato mercoledì scorso a Palazzo Grillo.

E anche qui Berti Riboli e i mercoledì della cultura non è che ci avessero tenuto a stecchetto: penso ai due splendidi pomeriggi a Torre San Vincenzo, per esempio, che ho amato moltissimo per la qualità delle opere esposte, su tutte quelle con i residui delle sale operatorie e delle camere di Villa Montallegro. Ma in qualche modo è come se il ritorno a Palazzo Grillo chiudesse un cerchio e, davvero, è un nuovo inizio, anche per la presenza degli Amixi fra i supporter della mostra, che sono un’altra storia, ma con la stessa passione. E quindi mi piace fare un piccolo passo indietro quando, sempre con un mercoledì di Montallegro, abbiamo avuto la fortuna di amare Francesco Jodice e la sua “Nuova terraferma”, la mostra che faceva vedere le banchine del porto durante i lavori come paesaggi lunari e tanto altro. Nel genere, un capolavoro. Ma il vero capolavoro – oggi come ieri – è il nuovo allestimento di questo spazio, da un lato come albergo e dall’altro come spazio espositivo, a uso pubblico, un palazzo dei Rolli ma i cui “Days” sono tutto l’anno.

Per di più dal lato di piazza delle Vigne che, in qualche modo, è più periferico rispetto ad altri angoli del centro storico molto più conosciuti. Credo che, fondamentalmente, questo non dispiaccia nemmeno agli anarchici che occupavano il palazzo fino a dieci anni fa, poi furono sgomberati e che lo mostravano come ciceroni a chi lo chiedeva. Ma era un palazzo diroccato che l’occupazione non aiutava, per usare anche stavolta un eufemismo sullo stato di manutenzione in quel momento. Poi ci sono stati i restauri di Arte e ora ci troviamo questo gioiellino, che le mostre aiutano ancora di più. E qui arriviamo a quella in corso in questo momento, che è particolarmente bella e significativa anche perché è un atto di coraggio anche solo farla e presentarla nel momento in cui donne e bambini possono morire a pochi metri dalla riva in Italia e si possono sentire ricostruzioni ufficiali in cui si spiega che le motovedette sono tornate indietro perché c’era troppo mare, ma nessuno ha pensato che quel troppo mare fosse ancor più troppo per un barcone di legno. E giuro che è tutto vero, che è stato detto. Non al bar o in un talk ma nelle più ufficiali delle sedi, negli atti parlamentari e nelle audizioni.

Insomma “Io sono confine – I am border” curato da Pierre Dupont e da Anna Daneri, che ha una passione infinita per questo, nata da un progetto di ricerca di Antonino Milotta, sviluppato in collaborazione con il collettivo Eufemia del Laboratorio di Sociologia Visuale dell’Università di Genova, del DISFOR in particolare, è al primo piano di Palazzo Grillo, in piazza delle Vigne e resterà aperto ancora da mercoledì fino a sabato 8 aprile dalle 16 alle 20, con ingresso gratuito.

E qui lo spettacolo è l’uso di vari linguaggi – con il trionfo dell’immagine e dei video che si irradiano fra loro nell’ultima sala, davvero un’opera d’arte ulteriore l’allestimento – ma anche opere realizzate in navigazione o urla di dolore degli artisti nei campi di contenimento, dove la parola “accoglienza” è spesso solo un tocco burocratico negli acronimi dei CPA.
Ma anche arazzi, sculture, quadri, arti figurative e tutto quello che è arte nel senso più onnicomprensivo della parola. E io ci metterei dentro anche lo splendido racconto teatrale di Davide Enia ne “L’abisso” e letterario in “Appunti per un naufragio”, che resta il punto più alto raggiungibile nell’affrontare questa storia, un pugno nello stomaco che fa solo bene prendere. Bene alla nostra civiltà, come questa mostra. E non è un caso che Silvia Giambrone, che di Davide è la compagna di vita e di arte, sia amica di Anna Daneri, perché c’è un punto in cui tutto si tiene. Ed è bellissima la lettera di Edoardo GB Riboli, letta da Francesco, che collega migrazioni di ieri e migrazioni di oggi. Perché Ellis Island è, fortissimamente è, Lampedusa. E viceversa.

E il fatto che questa modernità assoluta – non facile da capire, spesso urticante, di cui a me personalmente non piacciono tutte le opere esposte, ma è un ulteriore valore aggiunto, non una “diminutio”, anzi – avvenga in un palazzo storico, è l’ennesimo contatto fra passato e futuro, fra testo e contesto. Dove il primo fa il secondo. E viceversa.

Scritto da:

Massimiliano Lussana

Massimiliano Lussana, 49 anni, giornalista, si definisce “affamato e curioso di vita”.