Tavola rotonda sull’integrazione pubblico-privato a livello sanitario durante il Congresso nazionale ACOI (Associazione chirurghi ospedalieri italiani). Hanno partecipato componenti molto diverse tra di loro: chirurghi di strutture di diritto pubblico e di strutture di diritto privato, legali, manager di aziende sanitarie, politici, le associazioni nella sanità privata, esponenti del Sistema sanitario nazionale e l’a.d. di Montallegro Francesco Berti Riboli in rappresentanza delle imprese in sanità.

Francesco Berti Riboli, a.d. di Montallegro

Il tema è di grande attualità ed è anche il risultato di un percorso di integrazione tra Acoi e Sicop (Società italiana di Chirurgia della Ospedalità Privata) nell’obiettivo comune dell’unione e della condivisione di intenti. La Sicop, nata nel 1999, è oggi ufficialmente parte integrante di Acoi in qualità di rappresentante della sanità privata e convenzionata pur mantenendo la propria autonomia, tenendo anche conto che rappresenta quel mondo della chirurgia del privato-accreditato che eroga quasi un terzo delle prestazioni dell’intero panorama assistenziale nazionale.

Il privato è parte integrante del SSN

Durante la tavola rotonda tutti i partecipanti si sono trovati d’accordo sul concetto che il privato è parte integrante del Servizio sanitario nazionale, pur svolgendo una funzione diversa. In sostanza, il privato – accreditato e non accreditato – non è antagonista rispetto alla sanità pubblica. Anzi: se la sanità pubblica viene rafforzata ed è ben organizzata, ne trae beneficio all’interno di un sistema complessivo che funziona. Pubblico e privato sono insomma due facce dello stesso sistema sanitario e la collaborazione tra sanità pubblica e sanità privata è la chiave del buon funzionamento di un sistema che, garantendo l’universalità dell’assistenza, tutela anche la possibilità per chi lo ritiene di ottenere servizi di diversa qualità. Con la pandemia da Covid-19 è accaduto che le strutture private, a volte considerate marginali e vassalle, abbiano mostrato di essere in grado di affrontare le emergenze, di far parte di un sistema che senza i “privati”, avrebbe incontrato ancora maggiori difficoltà

L’esperienza della Liguria

Durante il dibattito è emerso come a livello nazionale si stiano realizzando elementi di integrazione pubblico-privato. In particolare a livello ligure sono state segnalate le ottime esperienze nate in conseguenza della lotta al Covid-19, anche se Berti Riboli continua a mettere in evidenza il grave problema della mobilità passiva, cioè del costo elevatissimo della “movimentazione” di pazienti verso altre Regioni: 51,1 milioni di euro per la Liguria.

In relazione al Covid, in Liguria tutto il sistema sanitario privato si è messo da subito a disposizione del Sistema Sanitario Regionale: gli ospedali pubblici stavano subendo una violenta redistribuzione delle risorse mediche e la conversione in task force dedicate al Covid-19. Questo comportava il crollo degli interventi elettivi in aree anche molto importanti come l’oncologia e il raddoppio delle liste di attesa. Grazie a un accordo tra Regione e aziende sanitarie private, si è creata la situazione per cui i chirurghi della sanità pubblica abbiano operato nelle strutture private autorizzate dal Sistema Sanitario Nazionale, non accreditate, come Montallegro.

Il secondo esempio di integrazione è legato alla vaccinazione Covid. Dal 29 marzo, prima nel padiglione Jean Nouvel della Fiera di Genova e poi nel Teatro della Gioventù – oltre ad altre location private – sono diventati hub vaccinale della Regione con la partecipazione delle strutture sanitarie private di Confindustria e Confcommercio, che si sono mosse, con il coordinamento di Montallegro, in accordo con ASL3.

Il terzo esempio di integrazione, complesso e ambizioso, è Restart Liguria, piano di rilancio del sistema sanitario attraverso un investimento di 64 milioni di euro tra il terzo quadrimestre 2021 e il primo semestre 2022. Il piano parte dalla considerazione che quasi un quarto della capacità di risposta ospedaliera ligure è rimasta inibita nell’ultimo anno e mezzo in coincidenza col Covid-19. Restart si prefigge di recuperare questa percentuale di produzione annuale in modo da riassorbire la domanda e di impedire che si traduca in un’impennata dei tempi di attesa e quindi proprio in mobilità passiva. Le linee di intervento sono su quattro diversi canali erogativi dell’offerta sanitaria: pubblico a produzione diretta (SSN), pubblico con acquisizione di prestazioni sanitarie da soggeti accreditati, privato con impiego di fattore produttivo pubblico (nuovo regime della libera professione intramuraria), privato da soggetti autorizzati (non accreditati col SSN) con la revisione degli standard e dei requisiti dell’attività non degenziale.

Il quadro generale

Dal dibattito, in sostanza, è emerso (anche sulla base delle proposte di Berti Riboli), un quadro generale abbastanza chiaro: alla sanità pubblica spetta la regia, oltre alla gestione della medicina universale, mentre nella sanità privata accreditata l’iniziativa resta sempre pubblica (rivolta al pubblico che non paga) anche in presenza di un gestore privato. Per quanto riguarda la sanità privata tout court, le prospettive riguardano la sanità integrativa e il cosiddetto out of pocket (cioè il paziente sostiene direttamente le spese), in entrambi i casi con un risparmio per il Servizio sanitario nazionale e con una spinta a ricercare sempre un elevato livello qualitativo da parte delle case di cura. Tenendo conto del peso sempre maggiore della sanità integrativa e del fatto che le strutture ospedaliere private vengono scelte dai cittadini con il sostegno di Fondi e Assicurazioni: ben più di 11 milioni di italiani usufruiscono di coperture garantite da questi soggetti.

Scritto da:

Mario Bottaro

Giornalista.