È stato un mese torrido quello di Villa Montallegro e dei “Mercoledì (e non solo) della cultura”. E non solo per il termometro. Perché mai come in questo viaggio attraverso mostre ed esperienze diversissime fra loro abbiamo raccontato periodi, stili, artisti, personaggi ed emozioni (sì, anche emozioni, è la parola giusta) diversissime fra loro, ma tutte unite dalla passione di Francesco Berti Riboli e di noi suoi amici per tutto ciò che è Bellezza.

Poi, ovviamente, ci possono essere passaggi che ci piacciono più o meno a seconda dei gusti personali, ma questa è un’altra storia: questa è la storia di come, in poche settimane, abbiamo potuto viaggiare dalle bellezze naturali dell’Oltregiogo all’arte contemporanea di Fondamenta due e dell’arte migrante di Palazzo Grillo, dal racconto quasi caravaggesco di “Straordinario e quotidiano” con Strozzi e Magnasco di Palazzo della Meridiana alla BeDesign Week con il design in sanità, fino trittico di mostre al Ducale di Man Ray (appena prorogata fino al 27 agosto, peraltro), la straordinaria esposizione di Cominetti che non conoscevo e che mi ha fatto innamorare, e quella altrettanto splendida di Letizia Battaglia, che durerà fino al primo novembre e che ti entra dentro.

Poi ci vorrebbe un’ulteriore mostra per glorificare Marie Claire Alliod che è stata il terminale organizzativo di tutto questo, il braccio potentissimo della mente altrettanto potente di FBR. Insomma, si va dall’arte antica a quella contemporanea, dalle installazioni alla fotografia e sempre con un filo conduttore comune e teso a raccontare mondi che molti di noi visitatori non conoscevamo. E anche la scelta delle sedi espositive e soprattutto delle guide, bravissime, non è casuale, ma miratissima, diversificata e perfettamente adeguata all’obiettivo di ogni singola mostra.

Detto tutto questo, ognuno ha le sue preferenze, chiaramente, e la mia dichiarazione d’amore assoluto va alla mostra di Letizia Battaglia che è stata protagonista dell’ultimo dei “Mercoledì (e non solo) della cultura” prima della pausa estiva.
Lo è per tanti motivi, a partire dalla sede scelta, il Sottoporticato di Palazzo Ducale, che è quasi una grotta, un antro, perfetto per ospitare le fotografie dell’artista palermitana. Ma qui, a dare ulteriore valore al testo, è proprio il contesto: il fatto che le sale siano completamente buie, ma che siano retroilluminate le fotografie, che diventano quasi manifesti a led, le rende ancora più belle, più significative, più emozionanti.

Dirò di più: a me è piaciuto moltissimo il fatto che, soprattutto quando fotografa le persone, non c’è mai un giudizio morale di Letizia Battaglia, ma semplicemente la messa a disposizione di strumenti a chi guarda le fotografie per farsi un’idea. Eppure, Letizia fu una protagonista della “Primavera palermitana”, addirittura assessore per i Verdi nelle giunte di Leoluca Orlando e poi deputata regionale per La Rete, solo due donne allora nell’affollatissima Assemblea Regionale Siciliana, un vero e proprio parlamento bis.

Ma, per l’appunto, lei – donna di parte – non prende parte: fotografa la realtà con il suo obiettivo. E così vediamo bambini che mangiano tranquilli il gelato mentre a pochi passi ci sono corpi crivellati di colpi, a volte addirittura seduti sulle sedie da cui spesso a Palermo si assiste alla vita.

Oppure, le immagini del corpo crivellato di Boris Giuliano, o dello stesso Giuliano con i suoi baffoni dietro Bruno Contrada. O, ancora, Sergio Mattarella, sullo sfondo mentre in primo piano c’è il corpo di suo fratello Piersanti. O Roberto Scarpinato, allora pm, accompagnato dagli uomini della scorta con le pistole in mano. C’è tutta la nostra storia, l’amore per Palermo, per ogni suo angolo, per le piazzette e per la processione di Santa Rosalia e per il Monte Pellegrino, per il giorno in cui ce ne innamorammo con Manifesta e casualmente, proprio lì, incontrammo Francesco Berti Riboli. Che c’era una possibilità su un milione o forse su un miliardo di vederci proprio noi e proprio lì, ma invece ci incontrammo perché chi si somiglia si piglia e con le persone speciali ci si trova anche a mille chilometri da casa, senza saperlo. E si è sempre a casa.

Insomma, amo tutto di Palermo e, se possibile, me l’ha fatta amare ancora di più il cuore di Davide Enia, che è il più grande di tutti, e ancora più su – e poi tramite Anna Daneri e Silvia Giambrone si incrocia con questa storia – con i suoi personaggi a Ballarò o alla Zisa che ha fatto diventare parte di noi, e il cinismo leggero e filosofico di Francesco Bozzi che, con la sua “Filosofia del suca” ha dato un codice a moltissime scritte sui muri.

Ma, per l’appunto, per arrivare alla Palermo di oggi che, dopo una guerra dei trent’anni o anche quaranta, ha definitivamente vinto la sua battaglia (minuscolo stavolta) con Catania, occorreva passare anche attraverso tutte queste foto, attraverso l’impegno civile di Letizia assessore che ha preso i carcerati dall’Ucciardone per ripulire i giardini e ha tolto i matti dalle catene, portando anche a Palermo la più grande battaglia di civiltà in Italia che è stata la legge Basaglia.
E poi la cosa ottima di questa mostra è che non nasconde nulla, nemmeno le foto delle bimbe con la Lamborghini gialla in Piazza Pretoria e piazza San Domenico e poi ancora davanti a Mondello che tanto fecero discutere il web.

Ovviamente, non manca la foto, sfuocata, di Giulio Andreotti con Nino Salvo che fu la prova, l’unica fotografica, della conoscenza fra i due al processo. Ma soprattutto ci sono tre foto che amo più di ogni altra, persino più di quelle “femministe” con le donne di Letizia completamente nude in mezzo alla campagna siciliana.
La prima è quella di Giovanni Falcone, ancora con la barba, ai funerali di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Quel giorno Falcone, poi tradito dai suoi colleghi di destra e di sinistra, prima che da ogni altro, disse a Letizia di fermarsi con le foto per qualche tempo. Erano anni in cui Falcone veniva accusato di tenersi le prove nei cassetti e di aver cavalcato il fallito l’attentato dell’Addaura.
Le altre due sono di Leonardo Sciascia, una con Renato Guttuso, e l’altra all’uscita di un seggio elettorale. E anche qui lo sguardo di Letizia Battaglia è da osservatrice, non da giudice. Del resto, le parole più belle sul sacrosanto articolo di Sciascia sui professionisti dell’antimafia, sono arrivate anni dopo dalla vedova di Paolo Borsellino quando le chiesero se in una cena diventata famosa Sciascia e Borsellino avessero fatto pace: «No» rispose secca lei. Per poi aggiungere, col più dolce dei suoi sorrisi: «Semplicemente perché non avevano mai litigato».

Scritto da:

Massimiliano Lussana

Massimiliano Lussana, 49 anni, giornalista, si definisce “affamato e curioso di vita”.