Venerdì e sabato, nell’Auditorium dell’Acquario di Genova, si svolge il secondo congresso nazionale (ma anche convegno internazionale: partecipano scienziati inglesi, tedeschi, belgi, olandesi, cechi, austriaci, spagnoli) “Meshed-Presi nella rete“, organizzato dall’Italian Society of Hernia and Abdominal Wall Surgery. L’appuntamento ha un elevato valore scientifico e presenterà anche alcuni momenti di grande attualità e di innovazione.

Montallegro Magazine ne parla con il professor Cesare Stabilini, uno dei tre presidenti del congresso, con studio libero-professionale in Montallegro, docente di Chirurgia e dirigente medico al Policlinico San Martino, che da tempo si dedica alla ricerca prevalentemente nell’ambito della chirurgia delle ernie della parete addominale e nell’ambito della chirurgia mini-invasiva.

– La chirurgia della patologia erniaria e della parete addominale ha una storia molto recente, poco più di 40 anni. Per riassumere in termini comprensibili ai profani: che rivoluzione si è verificata nel 1979 con la nascita del GREPA, Groupe de Recherche et d’Etude de la Paroi Abdominale?

«In realtà la Chirurgia di Parete ha una storia che affonda le sue origini alla fine del 1800 e proprio in Italia il 24 dicembre 1886 Bassini eseguiva per la prima volta l’intervento di ernioplastica inguinale dal quale sarebbe partito tutto un movimento di studio e pratica clinica volto alla cura di tali affezioni, altra tappa importante sono stati gli anni Sessanta in cui si è pensato di impiegare materiali recenti come il poliestere e il polipropilene in protesi che sostituissero il tessuto erniario. Comunque la domanda è corretta, restringendo la storia recente agli ultimi 40 anni: alla fine degli anni Ottanta Lichtenstein ha standardizzato il suo intervento con l’impiego della protesi messa in tutti i casi ernia inguinale, negli anni Settanta vengono messi a punto gli interventi per il trattamento delle ernie su incisione, nei primi anni Novanta si provano a mettere le protesi per via laparoscopica. Ed è il 1979 quando i chirurghi francesi Chevrel, Rives e Stoppa danno inizio alla storia moderna della chirurgia della patologia erniaria e della parete addominale, fondando il GREPA, Groupe de Recherche et d’Etude de la Paroi Abdominale, un sodalizio scientifico, un modello di riferimento che oltrepassa i confini francesi e diventa una guida per la formazione di numerosi chirurghi italiani».

– ISHAWS, Italian Society of Hernia and Abdominal Wall Surgery, aderente all’European Hernia Society, è stata fondata solo nel dicembre 2003, anche se fin dall’inizio parecchi sanitari italiani avevano partecipato al Grepa: come mai si è atteso così tanto?

«L’ISHAWS nacque come capitolo italiano della società madre European Hernia Society, ma si sa, noi italiani amiamo essere indipendenti e quindi, per mantenere una propria identità, si preferì (come altre società europee) di costituirsi in società scientifica nazionale (attualmente accreditata presso il ministero della Sanità). Si attese tanto perchè il Grepa era un semplice gruppo di ricerca e la materia ancora sconosciuta ai più».

Una rete dai molti significati

– Il congresso del primo e del 2 ottobre a Genova presenta, anche dal punto di vista linguistico, alcuni elementi di interesse e di curiosità. Per esempio: come mai si utilizza già nel titolo (due volte: in inglese e in italiano) il termine “rete”?

«Ovviamente dietro al titolo c’è un gioco di parole che bisogna perdonare: le protesi che utilizziamo più frequentemente in Chirurgia di parete sono tramate a rete con maglie di materiale sintetico, in inglese vengono chiamate mesh… il titolo quindi si riferisce alla protesi, al difetto che viene “meshato” cioè riparato, al fatto che i chirurghi del congresso compongono una rete nazionale ed europea e che proprio in una città di pescatori la rete verrà tirata ma soprattutto “re-immagliata” dopo il lungo periodo di COVID».

– Ancora: tre sessioni sono intitolate “The Devil’s advocate”. Ovviamente Perry Mason non c’entra nulla. Che significato ha dal punto di vista scientifico?

«Nella fase di concertazione del programma scientifico abbiamo cercato di uscire il più possibile dal tradizionale schema congressuale (ho un titolo-faccio la mia relazione-rispondo a una domanda-non sforo-avanti il prossimo), che soprattutto in streaming diventa faticoso da digerire. Ci siamo quindi affidati a uno stile più televisivo e accattivante che permettesse di godersi maggiormente il dibattito. Di conseguenza abbiamo dato spazio a sedute più movimentate e ci siamo inventati tre momenti denominati “Devil’s Advocates” in cui si tratta un tema nuovo e trattato finora in modo entusiastico, esposto da un sostenitore, al quale vengono opposti uno o più “guastatori” per puntualizzare, in un dibattito sereno, quanto tutto ciò che luccica non sia oro».

– Uno dei dibattiti ha come titolo “My worst case”. Quale è, a sua memoria, il peggior caso che ha trattato?

«Anche questa è una sessione “verità” in cui verranno presentati, non i soliti casi infiocchettati ad arte per il congresso, ma tre casi in cui il chirurgo si è trovato nella situazione peggiore possibile e ne è uscito come ha potuto, in definitiva tre casi gestiti in difesa. Per rispondere alla domanda in tutta franchezza, attualmente stiamo gestendo numerosi casi complessi (pazienti plurioperati in altre sedi, pazienti obesi, infezioni protesiche, casi rifiutati altrove e casi in urgenza), che hanno superato in percentuale il numero di casi semplici che vediamo… quindi confesso che i problemi che affrontiamo settimanalmente sono molteplici e anche gravi. Se devo ricordare quelli andati peggio porto sempre a riferimento la rottura precoce della ferita chirurgica dopo un intervento: è un dramma che spaventa i pazienti e le famiglie, richiede un impiego tempestivo della rianimazione, obbliga a rioperare più volte in un breve lasso di tempo e spesso ha esito infausto… una catastrofe in cui veniamo chiamati sovente in seconda o terza battuta quando la situazione è gia compromessa».

La nuova figura del chirurgo di parete addominale

– Un altro argomento suona un po’ ironico, visto che ne trattano studiosi che, ovviamente, sono totalmente orientati a questa disciplina; è quello intitolato “Are we ready for Hernia specialists?”. Naturalmente voi, presenti a questo congresso, siete più che pronti: chi, nell’ambito sanitario, non è ancora pronto?

«Abbiamo deciso di toccare questo argomento perchè secondo noi è il momento giusto. Negli ultimi 5-10 anni la chirurgia di parete addominale è esplosa sotto vari punti: scientificamente sono centuplicate le pubblicazioni (tre riviste al “top” in ambito chirurgico si occupano specificamente della materia), sono state concepite nuove procedure chirurgiche mini-invasive, è arrivato il robot (devastante per il suo impiego nelle fasi di sutura), esistono piattaforme dedicate alla disseminazione, si sono formati gruppi di chirurghi su Facebook, Instagram, Twitter che condividono quotidianamente le proprie esperienze. Il movimento c’è ed è rilevante, talmente rilevante che in Italia abbiamo sviluppato un processo di accreditamento dei centri che si occupano di parete adominale in modo specialistico e in Unione europea è stata creata la figura del “chirurgo di parete addominale”. Come è accaduto prima per il chirurgo coloproctologo, l’epatobiliopancreatico, il senologo, ecc viene sottolineata la necessità di una specializzazione successiva alla chirugia generale per offrire una migliore cura al paziente».

– Quali caratteristiche ha lo specialista di Chirurgia della parete?

«Lo specialista di Chirurgia di parete oggi è un chirurgo che ha conoscenza tecnica e di materiali, afflusso di pazienti e un ventaglio di cure da offrire, adatte alla situazione specifica del singolo. Nonostante ci sia tutto questo fermento, in Italia molti sono ancora “tiepidi” sull’intraprendere questa via, ritenuta secondaria fino a pochi anni fa rispetto alla chirurgia oncologica. In realtà è chiaro oggi che, diventare esperto di Parete, porta a diventare un punto di riferimento per la gestione dei casi complessi, delle multi recidive e avere la possibilità di effettuare interventi estremamente impegnativi (si consideri che per la chirurgia maggiore di parete alcune procedure hanno una morbilità e mortalità sovrapponibili a quelle della chirurgia pancreatica). Il vero problema in questo processo è rappresentato dal fare comprendere al settore di amministrazione e alla politica il fatto che uno specialista di parete è un professionista che porta complessità e risolve in modo trasversale problematiche che interessano anche altri chirurghi che operano nell’addome e utilizzano la parete come via di accesso».

Prevenzione e visioni di futuro

– Nel programma si parla anche di prevenzione: quali consigli può dare in questo senso?

«La prevenzione dei difetti di parete a cui faremo riferimento nel congresso riguarda quello che possono fare i chirurghi per minimizzare il rischio di un cedimento della chiusura dell’intervento addominale. Di fatto un paziente ben operato per un tumore, che sviluppa un’ernia sull’incisione chirurgica deve andare incontro a un secondo intervento per ripararla. Pensi che disagio si crea e i costi di una situazione del genere, considerando che in media il 20% delle laparotomie cede e in alcune classi di rischio si arriva anche al 50-60%. Si parlerà quindi delle tecniche di chiusura e della possibilità di impianto di protesi profilattiche nei pazienti a rischio per ridurre tale cedimento sia nel breve sia nel lungo termine e i problemi a esso connessi».

– Quali sono gli argomenti e le novità che, a suo parere, caratterizzeranno maggiormente il congresso?

«Mi scuso della risposta che non vuole essere arrogante, ma tutto il congresso si muove attorno a temi innovativi o dibattuti: se dovessi comunque scegliere quellli che mi risvegliano di più l’attenzione, di getto direi la robotica e le nuove tecniche laparoscopiche. Da sempre sono interessato alle tecniche mini-invasive e al modo di replicare con un approccio meno gravoso per il paziente le gestualità della chirurgia aperta. Il robot diventa quindi la naturale aspirazione per rendere idealmente perfetta tale replica».

Scritto da:

Mario Bottaro

Giornalista.