Proprio in ottobre, mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno, Montallegro ha implementato la propria struttura diagnostica dedicata alla senologia con un nuovo ecografo Esaote (che comprende due sonde mammarie e una vaginale) e un mammografo Hologic Selenia dimensions 3D che consente l’analisi in tomosintesi.

Di prevenzione e cura del tumore mammario parliamo con Giuseppe Canavese, dal 1997 al 2014 responsabile della struttura di Senologia chirurgica avanzata dell’Irccs San Martino-IST di Genova, attualmente senior consultant dell’unità di senologia dell’Humanitas di Rozzano e libero professionista con studio in Montallegro.

Giuseppe Canavese

– Dottor Canavese, quello della mammella è tra i cinque tumori più frequenti e, tra le donne, è il più diffuso…

«Il carcinoma mammario e la neoplasia maggiormente diagnosticata nelle donne. Nel mondo femminile circa un tumore maligno ogni tre (il 30%) è un tumore mammario. Il rischio di ammalarsi di carcinoma mammario aumenta con l’età, con una probabilità di sviluppo di cancro al seno maggiore nella fascia d’età compresa tra i 50 e i 69 anni».

– È vero che si sta verificando un aumento dei casi?

«L’incidenza del tumore al seno in Italia è in lieve incremento, ma ciò non corrisponde a un aumento della mortalità verosimilmente grazie alla maggiore diffusione dei programmi di diagnosi precoce e ai progressi terapeutici. Il carcinoma mammario resta la prima causa di morte per tumore nelle donne, ma in Italia la sopravvivenza a 5 anni è pari all’87%».

– Il rischio di ammalarsi aumenta con l’età o ci sono altri fattori scatenanti?

«La patologia neoplastica mammaria ha un’eziopatogenesi (è lo studio delle cause di una malattia e del loro meccanismo di azione) multifattoriale derivante cioè dall’associazione di diversi fattori: fattori riproduttivi, fattori ormonali, fattori dietetici e metabolici, pregressa radioterapia, familiarità ed ereditarietà. Agire su uno di questi fattori, alcuni dei quali modificabili, significa ridurre il rischio di sviluppare un carcinoma mammario».

La prevenzione  e lo stile di vita

– La prevenzione è importante anche come stile di vita: come comportarsi?

«Sicuramente tra i fattori modificabili sono da considerare quelli dietetici e metabolici: l’elevato consumo di alcool e di grassi animali e il basso consumo di fibre vegetali sembrerebbero essere associati all’aumentato rischio di carcinoma mammario. La dieta ipercalorica ricca di grassi e carboidrati e povera di fibre, l’obesità con eccesso di produzione di estrogeni e la sindrome metabolica con resistenza all’insulina sembrano aumentare il rischio d’insorgenza di cancro al seno. Seguire uno stile vita corretto con riduzione della sedentarietà, aumento dell’attività fisica associato a una dieta mediterranea per i motivi appena detti, riduce il rischio di neoplasia mammaria nell’ambito di programmi di prevenzione secondaria».

– Quanto pesa la familiarità, che lei ha indicato come uno dei fattori di rischio?

«Il tumore mammario è nella maggior parte dei casi sporadico. Tuttavia il 5-7% risulta essere legato a fattori ereditari, un quarto dei quali determinati dalla mutazione di due geni oncosoppressori: BRCA-1 e BRCA-2. Nelle donne portatrici di mutazioni del gene BRCA-1 il rischio di ammalarsi nel corso della vita di carcinoma mammario è pari al 65% e nelle donne con mutazioni del gene BRCA-2 pari al 40%. Le donne con mutazione riconosciuta vengono considerate “ad alto rischio” pertanto entrano in programmi di screening differenziati e a loro potrebbero essere proposti trattamenti chirurgici a scopo profilattico da discutere in equipe multidisciplinare e previa consulenza psicologica».

Ecografia e mammografia

– La diagnosi precoce è molto importante. Quale ruolo giocano le diagnosi con mammografia e l’ecografia?

«In Italia, i programmi di screening mammografico prevedono l’esecuzione di una mammografia ogni due anni nelle donne tra i 50 e i 69 anni, tuttavia si consiglia continuare a eseguire l’esame periodico fino a quando la donna è in buone condizioni di salute e ha un’aspettativa di vita uguale o superiore a 10 anni. Lo screening mammografico è un’attività di prevenzione secondaria periodica rivolta a donne asintomatiche al fine di effettuare una diagnosi di carcinoma mammario in stadio precoce e, quindi, offrire trattamenti meno aggressivi e più efficaci, con l’obiettivo di ridurre la mortalità da carcinoma mammario. L’ecografia mammaria bilaterale è una metodica che consente in associazione alla mammografia l’identificazione di lesioni di piccole dimensioni, come guida di procedure agobioptiche mirate, nella valutazione dello stato linfonodale. Rappresenta l’esame principale nelle donne donne giovani o con mammella fibroghiandolare».

– Ecografia e mammografia sono alternative?

«No: le due metodiche non sono una sostitutiva dell’altra. La risonanza magnetica con mezzo di contrasto viene invece eseguita in situazioni particolari: stadiazione pre-operatoria in pazienti candidate a CT neoadiuvante e rivalutazione della risposta alla terapia; sospetta neoplasia multipla; istotipo lobulare; sorveglianza in donne ad alto rischio; cup syndrome o carcinoma occulto».

– Quali sono i tipi e gli stadi di tumore al seno?

«La classificazione istologica tra i diversi istotipi, indica che quelli più frequenti sono rappresentati dal carcinoma duttale e lobulare. In relazione al profilo biologico si distinguono: Luminal A (basso rischio), Luminal B (rischio intermedio), HER 2+ dovuto al recettore 2 per il fattore di crescita epidermico umano e Tripli negativi che sono attualmente i più aggressivi».

I progressi della chirurgia del tumore al seno

– Negli ultimi anni sono stati compiuti passi avanti nella chirurgia, soprattutto conservativa: è vero?

«La cura del tumore al seno deve avvenire in centri specializzati all’interno di Breast Unit certificate. Diverse sono le variabili da considerare nell’ambito di un programma terapeutico personalizzato che tiene conto dello stadio di malattia, del tipo istologico, del profilo biologico del tumore, del grading, dello stato linfonodale. Grazie alla diagnosi precoce sempre maggiori sono gli interventi di tipo conservativo anche mediante tecniche di oncoplastica volte a garantire la radicalità oncologica con ottimi risultati estetici. Anche la mastectomia che prevede l’asportazione dell’intera ghiandola, è volta a ottenere un buon risultato estetico attraverso tecniche di conservazione del complesso areola-capezzolo (se non interessato da malattia) e della cute sovrastante con ricostruzione mediante expander o protesi immediata».

– Negli ultimi anni è cambiato anche l’approccio ai linfonodi dell’ascella, tema sul quale lei ha lavorato molto. Che cosa significa questo cambiamento?

«In passato lo standard era rappresentato dallo svuotamento ascellare con asportazione dei linfonodi di I, II, III livello. Successivamente, grazie all’avvento di metodiche di individuazione del linfonodo sentinella ascellare (il primo linfonodo che drena la linfa proveniente dalla mammella) è stato possibile valutare l’interessamento neoplastico linfonodale attraverso l’analisi istologica: la presenza di metastasi al linfonodo sentinella rappresentava l’indicazione a eseguire la dissezione ascellare con possibili sequele sensoriali e motorie dell’arto superiore. A oggi l’approccio è diverso, come confermato da diversi studi nazionali e internazionali, tra cui lo studio italiano Sinodar One appena concluso, elaborato e coordinato dall’Istituto clinico Humanitas con il coinvolgimento di circa 40 breast unit, che conferma il ruolo stadiativo e non più prognostico dello stato linfonodale. In conclusione, in condizioni particolari, in assenza di coinvolgimento clinico e strumentale preoperatorio dei linfonodi ascellari, anche in presenza di metastasi al linfonodo sentinella è possibile omettere la dissezione ascellare».

– Esistono nuove nuove cure oltre a radioterapia e chemioterapia?

«Le terapie ormai standardizzate per la cura del tumore al seno sono rappresentate dalla radioterapia per ridurre il rischio di recidive locali dopo trattamento conservativo, la chemioterapia e l’ormonoterapia adiuvante. L’indicazione al trattamento chemioterapico adiuvante è sempre più specifico grazie anche all’utilizzo recente di indagini geniche-molecolari, tra cui l’Oncotype DX che analizza l’espressione di 21 geni specifici del tumore che permettono di definire la probabilità di risposta alla chemioterapia e quindi di personalizzare la terapia. In condizioni particolari è possibile proporre inoltre un trattamento con anticorpi monoclonali (trastuzumab, pertuzumab, lapatinib) in monoterapia o in associazione a emtansine o inibitori delle cicline, proteine che regolano la progressione del ciclo cellulare».

La foto di apertura è di Ave Calvar Martinez, quella della paziente è di Valeria Boltneva, entrambe da pexels.com.

Scritto da:

Mario Bottaro

Giornalista.