Girolamo Mattioli: l’eccellenza chirurgica nel Gaslini del futuro
Dalla chirurgia robotica alle piattaforme per intensità di cura: il professor Mattioli, Direttore del Dipartimento Chirurgico, racconta il presente e il futuro dell'IRCCS Gaslini
Mi dica, dottore
Nel precedente incontro, il professor Girolamo Mattioli – Direttore UOC Chirurgia pediatrica presso IRCCS Gaslini di Genova e Professore associato di Chirurgia pediatrica Università di Genova, di cui è Direttore della scuola di specializzazione – aveva ripercorso la sua esperienza come Medico di guardia in Montallegro, un periodo formativo che ha lasciato un segno nel suo percorso professionale.
Oggi approfondiamo la sua figura di professionista alla guida del Dipartimento di Scienze Chirurgiche dell’Istituto Giannina Gaslini; un’eccellenza non solo genovese ma internazionale, attualmente in una fase di profondo rinnovamento.
– Professore, lei dirige il Dipartimento Chirurgico di un ospedale che è un fiore all’occhiello a livello internazionale. Cosa significa essere un professionista al Gaslini oggi?
«Ho l’onore di dirigere questo dipartimento e – avendo visto molte realtà ospedaliere – posso dire che la forza immensa del Gaslini risiede nei suoi professionisti e nel suo management. C’è una fusione speciale: noi professionisti, ci definiamo “Gasliniani” perché condividiamo uno spirito di servizio unico verso bambini che spesso nessun altro vuole o può curare: bambini che arrivano da noi dopo percorsi difficili. Le porte del Gaslini sono sempre aperte.
Altrettanto straordinario è il ruolo del management, pienamente consapevole dell’importanza dello sviluppo tecnologico e dei servizi, tanto da mettere a disposizione di clinici e pazienti tutto ciò che è necessario. La filosofia di fondo è chiara: evitare gli sprechi è fondamentale, ma senza cadere in un risparmio che significhi rinunciare a ciò che serve. Per questo si investe in tecnologie avanzatissime per la cardiochirurgia, la neurochirurgia e la robotica: quest’ultima da me molto utilizzata, data anche la mia specializzazione in urologia. La direzione supporta questi investimenti a condizione che siano volti a servire al meglio, senza sprechi o iniziative ingiustificate».
– Il Gaslini sta vivendo una trasformazione epocale con il progetto del “Nuovo Gaslini” e il Padiglione Zero. Come cambierà l’ospedale e l’esperienza per i pazienti?
«Cambia radicalmente l’organizzazione del lavoro, un modello che peraltro stiamo già iniziando ad applicare. Si passerà da una logica di singola specialità a una basata su piattaforme per intensità di cura e competenze. Il Padiglione Zero incarnerà l’alta specializzazione: una terapia intensiva e semi-intensiva molto ampia, una piattaforma unica di sale operatorie e piattaforme diagnostiche avanzate. Anche le degenze saranno organizzate per aree (chirurgica, ostetrica, ecc.) e non più per singolo reparto. È un modello organizzativo completamente diverso, che mette il paziente al centro, gestito per intensità di cura, con un ruolo fondamentale del governo infermieristico delle piattaforme. È un impegno enorme, ma entusiasmante».
– Il Gaslini è noto anche per accettare casi pediatrici estremamente complessi, a volte rifiutati altrove. Questa apertura incondizionata è un punto d’orgoglio?
«Assolutamente. Ma il chirurgo da solo non fa nulla. La vera forza del Gaslini è la multidisciplinarietà spinta. Abbiamo anestesisti e rianimatori eccezionali che vanno a prendere bambini in condizioni critiche, magari in altre parti d’Italia o del mondo, li stabilizzano, li mettono in circolazione extracorporea se necessario, li trasportano qui. Questo è possibile grazie a tutto lo staff: medici, infermieri, operatori socio-sanitari, tecnici, tutti con competenze altissime e dedicati ai bambini. Il bello del Nuovo Gaslini sarà proprio potenziare questa capacità di accogliere, stabilizzare, operare e poi restituire i bambini alle loro famiglie e ai loro territori. Non ci sono nicchie, è un lavoro d’insieme».
– Nel suo dipartimento, quali sono le frontiere più innovative che state esplorando?
«Come dipartimento, abbiamo diverse punte di diamante. Penso alla chirurgia dell’epilessia farmacoresistente, dove i neurochirurghi intervengono con tecniche mininvasive guidate da macchinari sofisticati senza grandi incisioni. Penso alla chirurgia della colonna, dove un robot permette di posizionare viti e stabilizzare le vertebre in modo computerizzato estremamente preciso. La cardiochirurgia è ad altissimo livello. Come chirurgo viscerale, con specialità in urologia e chirurgia generale pediatrica, vedo una grande eccellenza nella chirurgia toracica, che da noi è molto sviluppata, e nella chirurgia oncologica pediatrica. Per quanto mi riguarda più da vicino, la robotica e la chirurgia mininvasiva ci permettono di trattare patologie urologiche e digestive complesse con approcci che altrove richiederebbero interventi open, rendendo più agevole il recupero funzionale dei bambini».
– Parallelamente al suo impegno primario, lei ha ripreso una collaborazione più strutturata con Montallegro. Quali sono le motivazioni e gli obiettivi?
«Ho sempre mantenuto un legame con Montallegro, fin dagli anni novanta: non l’ho mai interrotto del tutto. Recentemente, però, il mio impegno si era concentrato maggiormente sulla libera professione intramoenia al Gaslini – che ritengo fondamentale – e su missioni internazionali. Ora, su richiesta di alcuni pazienti che cercano quel “qualcosa in più” in termini di comfort o specificità che Montallegro può offrire in regime di intramoenia allargata e – dopo un incontro stimolante con il dottor Berti Riboli – ho deciso di riprendere con più continuità. Altri colleghi del Gaslini lavorano regolarmente a Montallegro e penso sia positivo. L’idea è sviluppare qui l’attività urologica, che è la mia branca principale – penso a ricostruzioni peniene, chirurgia genitale – e quella chirurgia addominale “tranquilla” che non necessita della tecnologia robotica, che rimane naturalmente in intramoenia al Gaslini».
– Come “Gaslini”, ha partecipato a molte missioni internazionali: Baghdad, Kazakistan, Haiti, Angola. Cosa rappresentano queste esperienze per lei e per l’Istituto?
«Uno degli obiettivi strategici del Gaslini è fare rete, sia tra pari sia a scopo formativo. Le missioni cui ho partecipato, organizzate dall’Istituto con programmi strutturati, hanno principalmente questo scopo: andiamo per insegnare, per trasferire competenze e modelli organizzativi, non per sostituirci ai colleghi locali. È stato un impegno notevole, a volte continuativo per mesi da parte di specializzandi, con la mia supervisione periodica. Cosa ho dato? Formazione, forse modelli per migliorare la qualità delle cure. Cosa ho ricevuto? Un’infinità. Se ho dato uno, ho ricevuto cento. Ho imparato modi diversi di vivere e di rapportarsi, ho affrontato patologie che qui, fortunatamente, non vediamo quasi più. Vedere dieci casi terribili lì mi prepara ad affrontare quell’unico caso simile che potrei vedere qui. È uno scambio prezioso: noi portiamo tecnicismo, loro ci arricchiscono con la loro esperienza e umanità».