Lo so, lo dico ogni volta come un amatore seriale che tutte le settimane trova una nuova passione che lo intriga più della precedente e non è che non fosse innamorato la volta prima. Anzi, mi autodenuncio: sono un amatore seriale.
Ecco, nel favoloso mondo di Villa Montallegro e di Francesco Berti Riboli funziona esattamente così: ogni mercoledì (e non solo) della cultura è addirittura meglio del precedente, che già era stato il migliore, in una gara a firmare l’ultimo capolavoro, eternamente il penultimo per definizione.

Che si parli di arte contemporanea o di barocco, di collezioni private o di fotografia, di musei comunali o statali, come in questo caso, il mercoledì villamontallegriano è un momento da non perdere, vero esempio di cultura multitasking a Genova.
Ecco, per raccontare “Genova Sessanta”, la mostra ospitata al Teatro del Falcone di Palazzo Reale in via Balbi, protagonista dell’ultimo mercoledì della cultura, basterebbe questo, siamo al superlativo del superlativo. Qualcosa che la professoressa di italiano di avrebbe segnato come errore blu a scuola.
Con anche una possibile ulteriore spiegazione del titolo della mostra: in questi giorni sessanta sono anche i gradi dell’escursione termica fra le vie attorno a Principe e alla Nunziata che portano a Palazzo Reale e l’interno della mostra, dove il condizionatore è fissato su temperature polari, qualcosa in grado di assiderare ogni essere vivente. Figurarsi quelli che si introducono nei locali con le maglie madide di sudore.

Eppure, gelo a parte, la mostra è davvero calda. Ma, soprattutto, ad essere torrida è la spiegazione di Jacopo Baccani che, con la sua pettinatura, è lui stesso un’opera d’arte contemporanea, un’installazione vivente che ormai fa parte a pieno titolo della bellezza di cui Villa Montallegro si fa portavoce, quasi una voce da dizionario dei sinonimi di cultura a Genova.
Insomma, Baccani, già era stato una delle anime di “Maledetti architetti”, la due giorni di scoperte di bellissime bruttezze genovesi, ossimoro fortissimamente voluto, che aveva avuto anche un passaggio a Torre San Vincenzo, che è il luogo del cuore dei settant’anni di Montallegro e dei relativi festeggiamenti.

Il ventitreesimo e ventiquattresimo piano di una storia che mira al cielo e che, spesso, il cielo lo tocca. E non a caso anche la torre, con la sua evoluzione rispetto al progetto con un lato cieco “per non interferire con il resto” è una delle protagoniste della mostra del Teatro del Falcone di Palazzo Reale.

In questo quadro, stavolta Baccani addirittura si supera, raccontando Genova Sessanta, di cui è uno dei curatori, con una passione unica. La mostra racconta ad esempio la nascita dell’arte contemporanea a Genova, il suo “esilio” a Torino, quasi un’anteprima della grande occasione persa con Villa Croce e si va dai tagli di Fontana, stavolta in verde smeraldo, a una Marylin di Andy Wharol, agli specchi di Michelangelo Pistoletto, a tanto altro.

E poi c’è la sala del design, con poltrone e lampadari che sono essi stessi opere d’arte. Ci sono le lampade di Artemide e le poltrone impagliate che abbiamo iniziato a conoscere con gli “originali televisivi” della nostra gioventù, prima che si chiamassero sceneggiati, prima che si chiamassero telefilm, prima che si chiamassero fiction, prima che si chiamassero serie tv.

Manca, a dire il vero, la poltrona in pelle umana ripiena di polistirolo in cui Paolo Villaggio nei panni di Fracchia, progenitore di Fantozzi, sprofondava regolarmente di fronte al capoufficio Gianni Agus. E, anche in questo caso, è come se ci fosse un filo conduttore, è impossibile non pensare alla Cosider, grande azienda siderurgica dove lavorava Villaggio come addetto alle premiazioni dei dipendenti meritevoli e alle cerimonie degli auguri di Natale che poi ritroveremo in Fantozzi.

E la saga dell’acciaio è protagonista della mostra, in un percorso circolare, con Cornigliano e lo stabilimento che prende spazio al mare, ma anche il progetto di nuova sede in centro città che sarebbe stato un gioiellino architettonico, ma poi è stato abbandonato per la crisi della siderurgia. A tratti ti aspetteresti anche di vedere sbucare anche Vittorio Sirianni, che era la declinazione Italsider di Villaggio.

E poi nella mostra c’è l’inizio della pubblicità con Firma e il coinvolgimento di grandi artisti, dalle carte da gioco di Lele Luzzati agli splendidi cartelli prodromi della 626 e delle norme sulla sicurezza sul lavoro firmati da Eugenio Carmi, fino agli spot di Carosello con Paolo Panelli, Ave Ninchi e tutti i protagonisti con cui ogni sera andavamo a letto alle 21.
Ma, ovviamente, dove Jacopo si supera nel suo racconto è la parte architettonica, che parte dalla Genova bombardata degli anni Cinquanta, con i Magazzini del Cotone o anche lo stesso Palazzo Bianco ridotti in macerie (prima della visita guidata del mese scorso per i Mercoledì della cultura, of course) e interi quartieri distrutti con decine di migliaia di persone che dormivano nei sottotetti di edifici abbandonati, nel greto del Bisagno o del Polcevera o nei fondi delle abitazioni.

Dalle foto in bianco e nero di Giorgio Bergami, più efficaci di mille parole nel raccontare la cronaca di quegli anni, a quelle di Lisetta Carmi nel racconto della comunità trans, fino agli scatti glamour di attori e vip firmati ovviamente dall’archivio Leoni. E poi la nascita della Pedemontana di corso Europa, della Sopraelevata, del Morandi, di Quezzi e della Fiera, fino alle prime opere di Renzo Piano.

Ma gli anni Sessanta a Genova sono soprattutto gli anni di Daneri, di Nervi, di Gambacciani, di Piccapietra che diventa la city protagonista addirittura delle cartoline da mandare ad amici e parenti: “Saluti da Genova”, dove intravedere le vetrine di Tino’s in corso Dodici Ottobre diventa qualcosa di cui vantarsi con gli amici a casa.
Spesso è un’architettura che non fa parte a pieno titolo dei miei beni culturali, ma che fa luccicare gli occhi a Jacopo Baccani per la lucidità e la passione dei “maledetti architetti”.
Una splendida villa di Savignone diventa così una potenziale Miami beach e le spiegazioni del curatore fanno amare anche ciò che, a pelle, non si amerebbe automaticamente.

Le case INA, quindi popolari, di via Montallegro hanno la piscina per i bimbi e la spiegazione che fa notare come lo stile con cui sono costruiti terrazzo e vetrate del palazzo rosa che porta verso Albaro da Sturla, sia lo stesso di abitazioni popolari realizzate dagli stessi architetti, è qualcosa che riconcilia con tutto. Il resto lo fa Baccani nella sua cavalcata passionale e appassionata in cui racconta la “guerra” fra cemento armato e acciaio che caratterizzò le costruzioni di quegli anni.

Spettacolo ulteriore di uno spettacolo di mostra.

Scritto da:

Massimiliano Lussana

Massimiliano Lussana, 49 anni, giornalista, si definisce “affamato e curioso di vita”.