«Dopo oltre due anni di stop alle nostre attività divulgative, in un anno per noi importante che celebra i 70 anni di attività di Montallegro, riprendiamo con entusiasmo il nostro consueto sostegno a favore delle attività culturali cittadine, promuovendo la mostra ART MeetINGenoa a TSV70 e rilanciando i Mercoledì della Cultura. Per raccontare queste e future attività, ritorna la rubrica “Genovese per caso”, firmata dalla penna felice ed ironica di Massimiliano Lussana, cantore appassionato di queste iniziative» Francesco Berti Riboli

Sembra quasi una metafora del titolo di questa rubrica la mostra ospitata fino al 26 luglio al 23esimo e 24esimo piano del “grattacielo SIP” di via San Vincenzo, oggi nota come Torre San Vincenzo, disegnata fra gli altri da Attilio Gambacciani nel 1967, per 105 metri di altezza e 26 piani, più quelli interrati.

E già così, anche solo raccontando la sede che ospita tutto questo, quasi un’estensione extraterritoriale di Villa Montallegro e della passione di Francesco Berti Riboli per tutto ciò che è bello e Bellezza, parliamo di arte contemporanea, di un’architettura che fotografa alla perfezione quegli anni.

E che dai due piani più alti della Torre permette di vedere Genova totalmente, senza soluzione di continuità fra le architetture liberty della zona dietro Brignole, il verde della prima Castelletto, i disegni squadrati di alcuni palazzi attorno a via Venti, le ville nobiliari circondate dai giardini, i fregi di alcuni palazzi che si vedono solo da qui.

Insomma, è un mondo già la sede della mostra, “la location” direbbero quelli che parlano bene.

E il resto viene di conseguenza, perché questi due piani – che sono in qualche modo la “capitale” degli eventi legati ai settant’anni di Villa Montallegro, un susseguirsi continuo di cultura e di amore per Genova, quasi il Dna di Montallegro stessa – stavolta ospitano “ART – MeetINGenoa”, dove le due parole del sottotitolo si fondono in una crasi in cui Genova diventa città di incontro e di confronto.

La mostra, infatti, fin dalla sua carta di identità è un “incontro con artisti contemporanei”, curata da Chiara Pinardi e propone alcune delle tendenze che abbiamo conosciuto ed amato in questi anni, alcune delle quali proprio grazie a Villa Montallegro e ai suoi Mercoledì della cultura, presto transustanziati anche agli altri giorni del calendario.

Quindi, fino al 26 luglio 2022 la mostra-incontro è visitabile su appuntamento, semplicemente telefonando al 3383027883. Fidatevi, sarà la migliore telefonata della vostra vita.

Perché i quindici artisti che espongono a Torre San Vincenzo raccontano storie bellissime, a volte quasi il migliore riassunto delle mostre che abbiamo visto negli anni scorsi, come quando compri un disco con i migliori successi di un artista e non c’è una traccia che ti lasci indifferente o non ti emozioni: penso ad esempio alla tela del ragno di Tomàs Saraceno che avevamo visto all’opera a Villa Croce, quando Villa Croce era Villa Croce, o agli splendidi mondi di Francesco Jodice e della sua Terraferma, con la capacità di trasformare i lavori sulle banchine in un paesaggio lunare, senza soluzione di continuità fra i due mondi. E anche quella volta Villa Montallegro ci aveva fatto scoprire insieme testo e contesto, la mostra di Jodice e Palazzo Grillo, un pezzo dei Rolli in un percorso meno conosciuto, ma non per questo meno affascinante. Anzi.

E poi le cartografie splendide di Genova e del suo porto del Gruppo A12, con le banchine anche rovesciate, che sono quasi un tocco d’autore che mette pace fra tutti i terminalisti (e la presenza di Augusto Cosulich al vernissage sembra anch’essa una metafora di un mondo artistico diverso e possibile).

E ancora le meditazioni di Cesare Viel, le mappe di Peter Fend, le direzioni di Alfredo Coloma, i particolari che portano al tutto di Gianni-Emilio Simonetti, il gioco fra schermi e realtà di Matthew Attard e le architetture urbanistiche e nello spazio di Pietro Millefiore.

Le frecce che infilzano i cavalli di Mauro Ghiglione, con sette passaggi, sette colori, sette diversi movimenti sono un piccolo capolavoro che è quasi un tempo (uno spazio, un’emozione) supplementare rispetto a quelli della personale di Villa Croce, di cui qui si respirano alcuni echi e che Ghiglione spiega con la passione di chi la fa trasparire ad ogni parola, ad ogni virgola, ad ogni pausa. Ecco, “C’entra il cavallo”, fin dal gioco di parole che è molto più di un gioco di parole è questo e molto altro.

Giuliano Menegon con le sue ombre regala una delle migliori traduzioni grafiche e non solo di “Litania” di Giorgio Caproni che è probabilmente uno dei testi su Genova più citati in assoluto, ma che l’opera dell’artista veneziano fa quasi sentire inedita, ed è un piccolo miracolo laico.

Così come il racconto in bianco e nero e ocra della Genova di ieri e di oggi è ormai quasi un genere artistico-letterario autonomo, ma non è mai stato così riuscito come nell’interpretazione di Stefania Beretta, davvero splendida e commovente nel racconto di vicoli e sopraelevate, di antiche botteghe e cantieri, senza alcun giudizio di valore, ma semplicemente offrendo gli strumenti per vedere a chi guarda.

E poi ci sono alcune opere di cui, personalmente, mi sono innamorato, di quegli amori travolgenti di cui non puoi fare a meno, come quando incappi in qualcosa di totalizzante e ammaliante, straniante e bellissimo: penso ad esempio a “Bungalow bunker”, lo studio per una sala d’attesa realizzato su carta da parati farmacotizzata da Nuvola Ravera, realizzata con il supporto di Montallegro.

E sempre Nuvola Ravera è l’autrice di “Museo”, le urne di vetro soffiato di Murano di sei formati diversi piene di residui di gomma da cancellare verde che sembrano quasi l’altra metà del cielo della Terraferma di Jodice, anch’esse fuori dal tempo e dallo spazio, che capisci cosa sono perché le guardi da vicino, ma ti danno sensazioni forti che vanno molto al di là dei residui di una gomma.

Che poi è un po’ lo stesso tipo di racconto di “Stanze (clinica Montallegro)” di Luca Vitone, un acquarello di polvere su carta con cornice di legno di ciliegio, dove la raccolta della polvere in qualche stanza, abbinata a un tocco di verde regala quasi un atlante delle emozioni possibili, una cartografia dell’anima che sprigiona da quest’opera nata, letteralmente, da Villa Montallegro.

Ed è la stessa cartografia che esce dai disegni di palazzi genovesi e torri, dal Matitone a questa di San Vincenzo, di Elisabeth Scherffig che, con il suo tratto sottile, leggero e avvolgente, fittissimo, regala quasi una versione pacificatrice delle carceri immaginarie di Giovanni Battista Piranesi.

Insomma, c’è davvero tanto in questa mostra, molto eterogenea e ricca di suggestioni, persino nelle presenze al vernissage: vedere Ricky Sirotti a me fa venire in mente ogni volta i colori di papà Raimondo. E non potrei fargli complimento più bello, per la luce che emana tutto questo.

E forse non è un caso che sul pieghevole che accompagna la mostra del 23-24 di Torre San Vincenzo ci sia una frase di Vincent Van Gogh: “Il cuore di un uomo è molto simile al mare, ha le sue tempeste, le sue maree e nelle sue profondità ha anche le sue perle”. Ecco, è una mostra disorganica che racconta tutto questo.

Ma con un punto unificante assoluto: l’amore per Genova, che è quello di Francesco Berti Riboli, che è quello di questi settant’anni di Villa Montallegro.

Telefonate e prenotate. Incontrerete Genova.

Scritto da:

Massimiliano Lussana

Massimiliano Lussana, 49 anni, giornalista, si definisce “affamato e curioso di vita”.