Comincia oggi, lunedì 22 maggio, la Settimana Mondiale della Tiroide, un’iniziativa congiunta di tutte le società scientifiche endocrinologiche che vuole sensibilizzare e informare sulle patologie prevalenti, non gravi e curabili, ma che interessano una parte rilevante della popolazione (in Italia sono 6 milioni le persone con problemi alla tiroide).
Con il team multidisciplinare che lavora in Montallegro in questo ambito, abbiamo cercato di rispondere alle domande più frequenti.

Quali sono le principali patologie a carico della tiroide?
Le principali patologie sono rappresentate dai noduli tiroidei e da alterazioni della funzione tiroidea. I noduli tiroidei sono un riscontro frequente nella pratica clinica e sono più comuni nelle donne, nelle aree a carenza iodica, e la loro prevalenza aumenta con l’età. La popolazione ligure, dunque, notoriamente anziana e caratterizzata ancora da aree con iodio-carenza lieve/moderata, è a elevata prevalenza di noduli tiroidei. Anche patologie di alterata funzione tiroidea (ipotiroidismo o ipertiroidismo) sono in costante crescita e necessitano di valutazione specialistica per verificare l’adeguatezza della terapia, prevenire complicanze e garantire un’adeguata qualità di vita al paziente.

Quali sono i sintomi?
Quando la tiroide produce troppi ormoni tiroidei si manifesta una condizione chiamata ipertiroidismo che può causare palpitazioni, aumento della frequenza dell’alvo, nervosismo, ansia, iperattività, perdita di peso. Al contrario, l’ipotiroidismo è la ridotta produzione di ormoni tiroidei: nelle fasi iniziali raramente provoca disturbi ma, col passare del tempo, se non curato, può causare una serie di problemi di salute, come obesità, dislipidemia, depressione. L’ipotiroidismo può colpire sia gli uomini sia le donne, anche se è più comune tra le donne, soprattutto sopra i 60 anni di età.

Come prevenire?
È consigliabile utilizzare poco sale iodato! L’iodio, infatti, rappresenta il “carburante” per la tiroide: consente un corretto funzionamento della ghiandola e previene la formazione di noduli. In particolare, durante la gravidanza e l’allattamento, è consigliata l’integrazione di iodio per garantire un adeguato apporto al bambino in crescita. Pertanto, se la paziente è affetta da ipotiroidismo o ipertiroidismo e desidera o sta iniziando una gravidanza, è necessario consultare l’endocrinologo per valutare la possibilità di avviare terapie specifiche.

È consigliabile far valutare la tiroide con una semplice palpazione da parte del medico di famiglia. I test di screening, come l’ecografia e gli esami del sangue, sono indicati solo per le persone ad alto rischio o per coloro che hanno una familiarità per malattie della tiroide o malattie autoimmuni. I pazienti che sono stati esposti a radiazioni nella regione del collo devono sottoporsi a controlli regolari.

Ci sono terapie e/o farmaci innovativi?
La levotiroxina (LT4) in monoterapia rappresenta il trattamento di scelta per i pazienti ipotiroidei che assumono una singola dose giornaliera, al mattino, a digiuno. Tuttavia, la posologia deve essere attentamente calibrata persona per persona. Purtroppo, in alcuni pazienti, non si riesce ad ottenere il risultato desiderato, nonostante ripetuti aggiustamenti della posologia di levotiroxina. Possibili cause sono l’assorbimento ridotto o variabile della LT4 dovuto a farmaci, alimenti o patologie gastroenteriche che causano malassorbimento. Una possibile soluzione a tutti questi problemi è rappresentata dalla formulazione orale liquida della levotiroxina. Questa presenta un migliore assorbimento e consente una significativa riduzione dei tempi di attesa tra l’assunzione del farmaco e la prima colazione, un elemento essenziale per migliorare l’aderenza del paziente alla terapia.

Noduli tiroidei: cosa bisogna fare?
I noduli tiroidei sono quasi sempre formazioni benigne e solo nello 0,3% dei casi presentano caratteristiche indicative di malignità (tumori della tiroide). Nella maggior parte dei casi non sono gravi e non causano disturbi (sintomi), quindi spesso vengono scoperti in modo del tutto casuale. Tuttavia, in caso di caratteristiche cliniche e/o ecografiche sospette, è necessario approfondire gli accertamenti con l’esecuzione dell’agoaspirato tiroideo, un prelievo citologico che si esegue con ago sottile. La procedura consiste nella visualizzazione ecografica del nodulo da valutare e nella successiva introduzione dell’ago per il prelievo del materiale cellulare, strisciato su un vetrino e analizzato dall’anatomo-patologo. L’esame dura pochi minuti, senza alcuna particolare preparazione o digiuno. Si svolge in sede ambulatoriale, generalmente è indolore e non richiede anestesia. Al termine dell’esame, il paziente può riprendere le normali attività quotidiane.

Per quale motivo è necessario effettuare l’agoaspirato tiroideo?
L’esame citologico da agoaspirato è l’indagine più accurata per determinare la natura dei noduli tiroidei (benigni/maligni/dubbiosi) e per selezionare i pazienti da sottoporre a intervento chirurgico. Nel 70% dei casi, l’esame fornisce un risultato di benignità, mentre la diagnosi di malignità viene posta nel 5% dei casi. Solitamente, l’indicazione all’esame viene fornita dallo specialista endocrinologo di riferimento. In alcuni casi, l’esame citologico può essere integrato con un’analisi di genetica molecolare, per esempio la ricerca di mutazioni nel gene BRAF o di altri marcatori molecolari, al fine di ottenere ulteriori informazioni diagnostiche. Tuttavia, questa integrazione è successiva e solo su richiesta dello specialista, direttamente sul materiale prelevato durante l’agoaspirato.

Scritto da:

Redazione