Nella gestione delle patologie tiroidee si sta sempre più affermando un approccio multidisciplinare, che mette in connessione le diverse figure specialistiche coinvolte nella valutazione e nell’intervento su ogni singolo caso. L’interazione diretta tra chirurgo endocrino, medico anatomopatologo, endocrinologo e medico nucleare diventa fondamentale nella gestione dei pazienti affetti da carcinoma tiroideo, una neoplasia con tendenzialmente un’ottima prognosi, ma subordinata a una strategia terapeutica ottimizzata per il paziente stesso. In Montallegro, questo approccio è operativo e consolidato grazie a un team di professionisti qualificati. Li abbiamo intervistati per comprendere meglio il ruolo di ciascuno e analizzare gli ultimi progressi nel campo tiroideo.

Il ruolo del medico endocrinologo

Il compito dell’endocrinologo è personalizzare la terapia, valutando e definendo il trattamento più idoneo per il paziente. Nella maggior parte dei casi, una terapia medica è sufficiente. Tuttavia, in alcune condizioni, è necessario l’intervento di altre figure del team.

«L’endocrinologo è un po’ il team leader del gruppo multidisciplinare, anche perché di solito è il primo a incontrare il paziente e, in base alla sua patologia, decide l’iter diagnostico e terapeutico. Durante la visita, valuta l’aspetto funzionale della tiroide e le sue possibili patologie, indagando anche la presenza di noduli», spiega Francesca Cecoli, endocrinologa con studio a Montallegro. «In uno o nell’altro caso, può contare sul medico anatomopatologo per la valutazione – e, nel caso di Montallegro, per l’esecuzione – di un agoaspirato, sul medico nucleare per eseguire la radioiodio terapia o una scintigrafia tiroidea, sul chirurgo endocrino se è necessario un intervento chirurgico».

Daniele Cappellani, specializzato in endocrinologia e malattie del metabolismo, conferma questa impostazione. «Il consiglio è di essere sempre seguiti da uno specialista o, meglio ancora, da un’equipe multidisciplinare dedicata. Perché se è vero che la maggior parte delle patologie tiroidee è di semplice gestione, le situazioni complesse richiedono l’intervento di professionisti specializzati, gli unici in grado di gestire in modo ottimale l’iter terapeutico, prevenendo così situazioni che potevano essere evitate».

Il ruolo del medico anatomopatologo

Paola Baccini, anatomopatologa, è da anni consulente del servizio di Citoistopatologia di Montallegro e si occupa, con particolare interesse, di citopatologia agoaspirativa ecoguidata. «Quando l’endocrinologo individua in uno o più noduli determinate caratteristiche chiede di procedere con un agoaspirato, procedura diagnostica mini-invasiva che può confermare o escludere la natura maligna di un nodulo. Durante questa procedura, viene prelevata una piccola quantità di cellule dal nodulo sospetto. La maggior parte dei noduli sono benigni, ma il chirurgo può comunque valutare se rimuoverli o meno. In alcuni casi, l’esame può mostrare risultati sospetti o francamente maligni. In questi casi, il prelievo viene rivalutato dal biologo molecolare che studia eventuali mutazioni genetiche. Sulla base di queste mutazioni, il chirurgo decide come intervenire: se rimuovere solo il nodulo, una parte o l’intera tiroide, o anche i linfonodi circostanti».

Il ruolo del medico nucleare

Il medico nucleare, esperto nella patologia tiroidea, oltre a completare l’inquadramento diagnostico proponendo ed eseguendo alcuni esami specifici (come la scintigrafia tiroidea, una tecnica di diagnostica per immagini che fornisce informazioni sulla funzionalità della tiroide, particolarmente utile nella diagnosi del morbo di Basedow, nei casi di tiroidite sub-acuta e nel follow-up dei tumori della tiroide dopo l’intervento chirurgico), valuta il paziente per stabilire l’indicazione e/o prepararlo alla terapia con radioiodio per il trattamento di alcune forme di ipertiroidismo o per il trattamento del carcinoma tiroideo durante l’ablazione post-chirurgica o in caso di recidiva della malattia.

Silvia Daniela Morbelli, medico nucleare, illustra il suo ruolo. «Il medico nucleare è molto importante nella stratificazione prognostica che caratterizzerà i pazienti per tutta la loro storia. Dopo l’intervento chirurgico, è fondamentale per noi individuare i pazienti che necessitano di radioiodio terapia, nota anche come terapia radio-metabolica. Si tratta di una terapia assolutamente sicura e priva di particolari effetti collaterali, ma è comunque un’esposizione alle radiazioni, quindi va limitata ai soli casi necessari. Un buon team multidisciplinare aiuta in queste valutazioni, definendo il corretto iter diagnostico in ogni fase».

Il ruolo del chirurgo endocrino

In alcune situazioni, diventa necessaria l’asportazione chirurgica di tutta o parte della tiroide. Michele Minuto – chirurgo endocrino che ha eseguito più di 3000 interventi su tiroide, paratiroide e surreni, sia con tecnica tradizionale sia mini-invasiva – spiega come si arriva a questa valutazione. «La decisione dipende da caso a caso e viene presa attraverso la collaborazione tra tutte le figure del team multidisciplinare. Questa collaborazione determina l’estensione dell’intervento chirurgico. Oggi trattiamo i carcinomi tiroidei con approcci sempre meno aggressivi, anche lasciando parte della tiroide in sede. Quando possibile, è preferibile sia dal punto di vista chirurgico sia per la ripresa del paziente. Inoltre, il paziente potrebbe non essere obbligato a sottoporsi alla terapia con la levotiroxina».

La tiroidectomia richiede tecniche specifiche e si è dimostrato che i migliori risultati sono ottenuti quando gli interventi endocrinochirurgici sono eseguiti da specialisti adeguatamente formati ed esperti (chirurghi che eseguono almeno 100 procedure all’anno su tiroide e paratiroide). «Oggi sempre più frequentemente riusciamo ad adottare tecniche di chirurgia mini-invasiva. Anche in questo caso, i vantaggi sono evidenti sia dal punto di vista estetico, sia per quanto riguarda la ripresa post-operatoria, grazie a tagli molto più ridotti e meno dolorosi».

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