La salute dello sguardo non è solo una questione estetica, ma un fondamentale aspetto funzionale che garantisce una corretta visione e qualità della vita. Spesso si tende a confondere termini tecnici o a sottovalutare sintomi che indicano patologie specifiche delle palpebre. Per fare chiarezza su due condizioni frequenti ma distinte – la ptosi palpebrale e la blefarocalasi – abbiamo incontrato in Montallegro Riccardo Berti Riboli, specialista in Oftalmologia.

– Qual è la differenza sostanziale tra ptosi palpebrale e blefarocalasi?
«Sebbene entrambe le patologie coinvolgano le palpebre, la ptosi palpebrale si differenzia in modo netto dalla blefarocalasi per precisi aspetti anatomici e funzionali. La ptosi vera nasce principalmente da un malfunzionamento di quello che possiamo definire il “motore” della palpebra, ovvero l’innervazione. Nello specifico, si tratta di un deficit del terzo nervo cranico – detto oculomotore comune – e del sistema simpatico che innerva una piccola componente muscolare chiamata muscolo tarsale di Müller. La blefarocalasi, invece, è caratterizzata da un eccesso di pelle, un rilassamento dei tessuti che “appesantisce” la palpebra per gravità, pur in presenza di una muscolatura intatta. Inoltre, a differenza del cedimento tessutale tipico dell’età avanzata, la ptosi vera può essere monolaterale e può presentarsi anche nei bambini».

– Al di là delle cause anatomiche, quali sono i sintomi concreti che il paziente avverte nella vita quotidiana?
«Il disagio principale è abbastanza semplice da identificare ma molto invalidante: si tratta di limitazioni funzionali che colpiscono soprattutto le porzioni superiori del campo visivo. Questo accade sia nel caso di una ptosi vera, sia in presenza di una blefarocalasi avanzata. Molti pazienti descrivono il sintomo in maniera diretta, con un’espressione meno medica ma assolutamente efficace: riferiscono di avere la sensazione di una “tenda abbassata per metà” davanti all’occhio. Questo ostacolo riduce la luce e la visibilità, costringendo spesso la persona a sforzi compensativi con la fronte o con il collo per riuscire a vedere meglio».

– Una volta effettuata la diagnosi corretta, qual è l’approccio terapeutico per risolvere il problema?
«Nel momento in cui viene identificata la causa specifica, la soluzione è prevalentemente chirurgica. L’obiettivo dell’intervento è ripristinare la corretta apertura dell’occhio. Si procede rinforzando il complesso muscolare deficitario oppure, nei casi in cui il muscolo non sia recuperabile, creando dei meccanismi di supplenza. In sintesi, interveniamo per ridare alla palpebra la forza necessaria per sollevarsi correttamente, eliminando l’effetto “tenda” e restituendo al paziente l’integrità del campo visivo».