Se la prevenzione e la diagnosi precoce sono i pilastri per combattere il tumore al polmone , le innovazioni sul fronte terapeutico hanno radicalmente cambiato la prognosi e la qualità di vita dei pazienti. Oggi, ricevere questa diagnosi non è più una condanna senza appello, grazie a un approccio personalizzato che unisce chirurgia d’avanguardia e terapie mediche sempre più precise.

Facciamo il punto sulle nuove frontiere della cura con il dottor Gian Luca Pariscenti, direttore dell’unica Unità Operativa complessa di chirurgia toracica della Regione Liguria, Hub regionale e responsabile del centro di riferimento ligure per lo screening di questa neoplasia presso l’IRCCS Policlinico San Martino e specialista in Montallegro per l’attività in libera professione.

– Dottore, è corretto affermare che una diagnosi di tumore ai polmoni oggi non è più una prognosi senza speranza?
«È proprio così, lo scenario è cambiato radicalmente. Oggi, per i pazienti con una diagnosi in fase iniziale, le possibilità di guarigione completa sono altissime, grazie a percorsi terapeutici sempre più efficaci. Ma progressi straordinari si sono visti anche negli stadi più avanzati: malattie che un tempo offrivano un’aspettativa di vita inferiore ai 12 mesi, oggi possono essere controllate grazie a terapie innovative che bloccano la progressione del tumore, portando a una stabilità della malattia che può durare anche 4 o 5 anni».

– Qual è stata la rivoluzione in ambito chirurgico?
«La chirurgia mininvasiva è diventata il gold standard. Oggi trattiamo i primi stadi con interventi estremamente poco invasivi, attraverso un unico taglio di soli 3 centimetri, senza divaricare le coste o sezionare muscoli. Questo ci permette anche di fare interventi di “risparmio polmonare”, in cui asportiamo solo un segmento malato anziché un intero lobo».

– E sul fronte delle terapie mediche?
«Siamo passati dalla sola chemioterapia a percorsi sempre più personalizzati. Oggi abbiamo le terapie a bersaglio molecolare, che colpiscono specifiche mutazioni genetiche del tumore, e l’immunoterapia, che stimola il sistema immunitario del paziente a combattere la malattia».

– Quanto sono importanti i test genetici?
«Sono diventati fondamentali. Oggi tutti i tumori polmonari devono avere una profilazione genetica. Questo perché la ricerca ha sviluppato terapie a bersaglio molecolare che agiscono contro specifiche mutazioni (come EGFR, ALK o ROS1). Identificare una di queste alterazioni cambia completamente la strategia terapeutica decisa dal team multidisciplinare, orientando la scelta verso un’eventuale terapia mirata da somministrare prima dell’intervento chirurgico».

– E la biopsia liquida? Quale sarà il suo ruolo?
«Rappresenta il futuro, senza dubbio. Il suo potenziale è enorme: con un semplice prelievo di sangue potremo non solo diagnosticare la presenza di un tumore e identificarne il profilo genetico, ma anche monitorare l’efficacia delle cure e gestire l’intero follow-up del paziente. Questo potrebbe un giorno sostituire la necessità di molte biopsie invasive, come quelle TC-guidate o broncoscopiche, e permetterebbe di controllare la malattia nel tempo riducendo il ricorso a esami radiologici come la TC».

– Come è cambiata la gestione degli effetti collaterali delle terapie?
«Anche su questo fronte i progressi sono stati notevoli. Per quanto riguarda la chemioterapia, oggi disponiamo di farmaci di supporto che hanno ridotto drasticamente, e in alcuni casi quasi annullato, gli effetti collaterali più temuti dai pazienti. Gli effetti dei farmaci a bersaglio molecolare e dell’immunoterapia, invece, sono generalmente ben tollerati. In ogni caso, sono controllabili con terapie specifiche gestite dall’oncologo, che può adattare il trattamento in caso di reazioni importanti, quasi sempre senza dover interrompere il percorso di cura».

– Cosa significa oggi essere un sopravvissuto al cancro al polmone?
«Oggi possiamo usare un termine che prima era quasi un tabù: guarigione. Già prima delle nuove terapie, un intervento chirurgico radicale su un tumore al primo stadio portava a una sopravvivenza del 92% a 5 anni. Ora, poter combinare una chirurgia mininvasiva con armi farmacologiche così potenti ci fa pensare che le persone possano davvero considerarsi guarite. Il follow-up, poi, è sempre più preciso».

– Per concludere, cosa rappresenta per un professionista come lei operare in una struttura come Montallegro?
«Montallegro offre ai pazienti l’opportunità di affidarsi a una struttura sicura, con una qualità alberghiera superiore e tempi di trattamento estremamente rapidi. Un vantaggio importante è la presenza di numerose convenzioni dirette con assicurazioni e fondi sanitari, che permettono a molti di usufruire di questi plus. Per il paziente, questo significa avere la garanzia di ricevere un trattamento chirurgico con gli stessi standard di eccellenza di un policlinico come il San Martino, in un contesto che unisce l’eccellenza clinica alla massima attenzione per il benessere del paziente».