La terapia del diabete mellito di tipo 2, il cosiddetto diabete dell’adulto, ha vissuto una profonda evoluzione. Alle classi di farmaci tradizionali si sono affiancate nuove molecole che hanno cambiato l’approccio alla malattia, offrendo benefici che vanno oltre il semplice controllo glicemico. Facciamo il punto con Roberto Della Vecchia, specialista in Endocrinologia, Geriatria e Gerontologia, che abbiamo incontrato in Montallegro.
«Per anni la proposta terapeutica si è basata su diverse categorie di medicinali: i più noti e usati sono le biguanidi, con la metformina su tutte, le sulfoniluree, il pioglitazone, le gliptine e, più di recente, gli inibitori del cotrasporto sodio-glucosio a livello renale».
Il vero punto di svolta, però, è arrivato con una nuova classe di farmaci. «Il cambio di passo si è verificato con l’arrivo degli agonisti del recettore del GLP-1 (Glucagon-like peptide-1). Questi farmaci, specificatamente la semaglutide e la tirzepatide, hanno due grandi qualità. La prima è la potente azione sul metabolismo degli zuccheri: aumentano la liberazione di insulina, riducono quella di glucagone e diminuiscono la produzione di glucosio da parte del fegato. La seconda è l’effetto sul tubo digerente: ne rallentano l’attività peristaltica, dando un senso di ripienezza gastrica, al quale si aggiunge un effetto sul centro della sazietà. Queste molecole hanno veramente cambiato il quadro della terapia del diabete mellito di tipo 2, soprattutto nel paziente diabetico obeso» conclude Della Vecchia.