Arriva l’estate e con essa la voglia di partire. Ma per chi soffre di ipertensione, le vacanze portano con sé dubbi e necessarie precauzioni: il caldo intenso, i lunghi viaggi o un soggiorno in montagna possono infatti incidere sui valori della pressione e sull’efficacia dei farmaci. La terapia va modificata? Quali rischi si corrono e come prevenirli? Per affrontare le vacanze con la giusta consapevolezza – dopo il primo intervento dello specialista Gian Paolo Bezante (qui l’articolo) – abbiamo rivolto queste domande alla dottoressa Elisa Modonesi, consulente del Servizio di Cardiologia di Montallegro.

– Dottoressa Modonesi, chi soffre di pressione alta deve prendere precauzioni particolari quando viaggia, per esempio in aereo o durante lunghi tragitti in auto?
«L’imperativo è mantenere sempre una corretta idratazione. Uno stato di disidratazione mette il rene in una condizione di stress che può alterare il metabolismo e l’eliminazione dei farmaci antipertensivi, rendendone l’effetto meno prevedibile. Di conseguenza, durante qualsiasi viaggio, che sia in aereo o in auto, è fondamentale garantire un adeguato apporto di liquidi».

– Per un soggetto iperteso, l’ambiente di vacanza – mare o montagna – richiede approcci terapeutici differenti?
«Assolutamente. L’ambiente climatico ha un’influenza diretta. Al mare, l’effetto vasodilatatore del caldo tende a ridurre i valori pressori; per questo, terapie con farmaci diuretici o con alcuni vasodilatatori – che possono causare edemi agli arti inferiori – vengono spesso rimodulate o temporaneamente sospese. In montagna, al contrario, l’altitudine può indurre un rialzo pressorio, specialmente nei soggetti predisposti. È quindi essenziale che il paziente disponga di un piano terapeutico flessibile, concordato con il proprio medico, che includa indicazioni su come adeguare la terapia e che preveda l’automonitoraggio costante dei valori».

Elisa Modonesi– Esiste una correlazione tra l’assunzione di farmaci antipertensivi e un’aumentata fotosensibilità?
«Sì, alcuni principi attivi, in particolare certi diuretici, possono indurre fotosensibilizzazione. È documentata un’associazione tra l’uso prolungato di idroclorotiazide, un diuretico comune in molte terapie antipertensive, e un aumentato rischio di sviluppare carcinomi come basaliomi ed epiteliomi. Per i pazienti che assumono questo principio attivo, è mandatorio l’uso di una fotoprotezione elevata, con un fattore non inferiore a 30 o 50».

– Quali sono i sintomi estivi che un paziente iperteso non deve sottovalutare e quando è necessario l’intervento medico?
«Sintomi come vertigini, capogiri o la percezione di un battito accelerato (tachicardia) devono essere interpretati come possibili segnali di ipotensione o disidratazione. La comparsa improvvisa di palpitazioni, dispnea (fiato corto) o una sensazione di stordimento impone un immediato automonitoraggio della pressione e un’attenta valutazione per decidere se sia sufficiente contattare il proprio medico o se sia necessario rivolgersi a un pronto soccorso».

– Come deve essere gestita l’attività fisica estiva in un paziente iperteso, specialmente se in terapia?
«L’attività fisica con temperature elevate è fortemente sconsigliata in quanto aumenta significativamente il rischio di disidratazione. È pertanto cruciale programmare l’esercizio nelle ore più fresche. Per i pazienti in terapia con diuretici, l’aumento della sudorazione indotta dall’esercizio ha un effetto che si somma a quello del farmaco, potenziando la perdita di liquidi e sali minerali. In questi casi, la terapia diuretica deve essere attentamente riconsiderata dal medico, che potrà valutarne la sospensione o la sostituzione».

– È consigliabile una visita di controllo prima della partenza per le vacanze e una al rientro per adeguare la terapia?
«È buona norma consultare il proprio medico o cardiologo prima della stagione estiva per definire un piano d’azione personalizzato. Il paziente deve ricevere indicazioni precise su come e quando ridurre la terapia e su come ripristinarla al mutare delle condizioni. La chiave è l’automonitoraggio pressorio: una riduzione della terapia è giustificata solo da un effettivo e documentato calo dei valori, non dalla sola presenza della stagione calda. Al rientro, un monitoraggio più frequente permette di identificare il momento corretto per ritornare al regime terapeutico standard, seguendo le indicazioni già ricevute».

– Se un paziente rileva variazioni pressorie significative, come deve comportarsi per evitare un pericoloso “fai da te”?
«L‘autogestione improvvisata è assolutamente da evitare. L’obiettivo della consultazione medica preventiva è proprio quello di educare il paziente, fornendogli gli strumenti per gestire le variazioni in modo autonomo ma controllato e sicuro. Il paziente deve seguire uno schema terapeutico concordato, non agire d’impulso. In presenza di dubbi o di scenari non previsti, il riferimento deve essere sempre e solo il proprio medico curante».