Con l’aumento delle temperature, cresce il rischio di incorrere in disturbi gastrointestinali legati al consumo di cibi mal conservati o contaminati, soprattutto nei soggetti più fragili. Ne parliamo con il dottor Giovanni Cassola – specialista in Malattie dell’apparato digerente e in Malattie infettive, già Direttore della S.C. di Malattie infettive dell’E.O. Ospedali Galliera di Genova – per capire come riconoscere i sintomi, quali sono le cause e come prevenire questi fastidiosi disturbi. Lo abbiamo incontrato in Montallegro, dove svolge la sua attività in libera professione.

– Dottor Cassola, perché in estate aumenta il rischio di gastroenteriti legate all’alimentazione?
«L’estate, a causa del caldo, è il periodo dell’anno in cui i cibi si conservano con più difficoltà e possono quindi veicolare importanti infezioni o intossicazioni. È utile distinguere subito tra questi due fenomeni. Sebbene entrambi derivino dal consumo di alimenti mal conservati, l’intossicazione si manifesta molto rapidamente, poiché le tossine sono già presenti nel cibo e agiscono subito. Nell‘infezione, invece, ingeriamo direttamente i germi, che necessitano di un periodo di incubazione nel nostro organismo prima di scatenare i sintomi».

– Quali sono le tempistiche di incubazione di un’infezione alimentare?
«Generalmente sono necessari due o tre giorni. Il tempo che intercorre tra l’ingestione dell’alimento e la comparsa dei sintomi è un elemento che orienta la diagnosi. La salmonella, uno dei batteri più comuni responsabili di infezioni intestinali, si manifesta tipicamente dopo qualche giorno. Il germe, presente in un cibo contaminato o mal conservato come uova o pollo, si moltiplica all’interno del nostro corpo e solo allora dà inizio alla sintomatologia. È importante non sottovalutare la potenziale gravità di queste infezioni. In soggetti fragili – come bambini, anziani o pazienti immunodepressi – i germi possono superare la barriera intestinale, passare nel sangue e causare infezioni sistemiche anche molto serie».

– Quali sono le cause più comuni di questi disturbi?
«Le cause principali sono senza dubbio i cibi mal conservati o, in alternativa, cotti in modo inadeguato. Una cottura accurata è infatti essenziale per eliminare eventuali germi. Un altro fattore critico è l’interruzione della catena del freddo: alimenti che richiedono refrigerazione, se lasciati a temperatura ambiente, diventano un terreno ideale per la proliferazione batterica».

– Qual è il patogeno più comune?
«Il batterio più comune è senza dubbio la salmonella. La sua diffusione è legata non solo alla possibile contaminazione di alimenti come il pollame, ma anche alla presenza di portatori sani asintomatici. Se una di queste persone lavora nella ristorazione o nell’assistenza senza osservare scrupolosamente le norme igieniche – come il lavaggio delle mani o l’uso di guanti – può facilmente contaminare il cibo. Le conseguenze dell’infezione, come già sottolineato, variano poi notevolmente in base allo stato di salute del soggetto colpito».

– A quali alimenti dobbiamo prestare maggiore attenzione durante l’estate?
«Sicuramente a tutti i prodotti a base di creme e uova. In generale, la cottura rappresenta la nostra difesa più efficace. Altrettanto fondamentale è il lavaggio accurato di frutta e verdura. Non bisogna poi dimenticare il rischio legato all’acqua: sebbene quella del rubinetto in Italia sia sicura, durante i viaggi in paesi esotici è necessario adottare delle precauzioni. È bene consumare solo acqua e bevande da bottiglie sigillate e aperte al momento, evitando il ghiaccio, che potrebbe essere prodotto con acqua contaminata».

– Quali sintomi permettono di distinguere una semplice indigestione da un’infezione che richiede cure
mediche?
«La presentazione clinica iniziale è molto simile: vomito, diarrea e dolori addominali. Il pericolo maggiore è la disidratazione, conseguenza della severa perdita di liquidi e dell’incapacità di bere e alimentarsi. L’idratazione è, infatti, il cardine della terapia. Se il quadro clinico non migliora spontaneamente entro 24-48 ore, come accade spesso nelle intossicazioni più semplici, è cruciale rivolgersi a un medico. In questi casi, è necessario approfondire la diagnosi e, spesso, intervenire con un’idratazione per via endovenosa».

– Bambini e anziani richiedono un’attenzione particolare?
«Assolutamente. Bambini e anziani sono le categorie più vulnerabili e devono essere monitorati con estrema attenzione. In questi pazienti, la disidratazione può evolvere rapidamente in ipotensione e, nei casi più gravi, persino in uno stato di shock. Si tratta di una complicanza seria che, tuttavia, può essere prevenuta con un intervento tempestivo».

– Come si giunge a una diagnosi precisa dell’agente patogeno?
«Per identificare il responsabile di un’infezione disponiamo di test molecolari molto rapidi, che ricercano il dna o l’rna dell’agente patogeno. A questi si affianca la classica coprocoltura, utile per esempio nell’isolare la salmonella. L’identificazione del patogeno ha una duplice importanza: è fondamentale per la terapia del paziente ma anche per la sanità pubblica. Una volta individuato il microbo, è possibile risalire alla fonte del contagio – un lotto di cibo, un ristorante, un’attività commerciale – e attuare misure per bloccare la catena dell’infezione e proteggere altre persone».

– Quali sono gli approcci terapeutici disponibili?
«L’approccio principale è sintomatico e di supporto. L’obiettivo è sostenere le funzioni vitali, principalmente idratando il paziente, spesso per via endovenosa con soluzioni che forniscono anche glucosio per l’energia. L’uso di antibiotici non è sempre necessario; in un adulto sano, molte infezioni intestinali si risolvono spontaneamente. La terapia antibiotica mirata diventa invece indispensabile quando a essere colpiti sono soggetti fragili come bambini, anziani e pazienti immunocompromessi».

– Cosa possiamo fare a casa nelle prime ore?
«La regola fondamentale è idratarsi, bevendo molto. Per quanto riguarda l’alimentazione, è consigliabile un digiuno temporaneo, anche perché l’appetito è solitamente assente. Se si desidera mangiare qualcosa, è bene limitarsi a cibi leggeri e astringenti, come riso in bianco, mela o banana. La gestione domiciliare dipende molto dall’intensità del vomito: se questo è persistente, dopo 24-48 ore diventa necessario ricorrere a cure mediche per una reidratazione endovenosa».

– Da oltre cinque anni lei esercita in Montallegro. Qual è il suo campo d’azione principale?
«Nella mia precedente esperienza ospedaliera al Galliera, gestivo prevalentemente i casi acuti e gravi che giungevano dal pronto soccorso. Da quando lavoro in Montallegro, mi occupo di condizioni croniche o meno urgenti, pur mantenendo la possibilità di eseguire ogni accertamento diagnostico e di disporre un ricovero qualora fosse necessario. La medicina moderna è sempre più personalizzata: ogni paziente viene valutato singolarmente per definire il percorso di cura più appropriato».