Intolleranze alimentari: facciamo chiarezza
Cosa sono le intolleranze alimentari, come si manifestano e come affrontarle: intervista al gastroenterologo, professor Edoardo Giovanni Giannini
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Le intolleranze alimentari rappresentano una problematica diffusa, spesso fonte di dubbi e errate autodiagnosi. Comprendere la natura di queste condizioni, le corrette procedure diagnostiche e le strategie di gestione è fondamentale per la salute e la qualità della vita dei pazienti. Ne parliamo con Edoardo Giovanni Giannini, professore di Gastroenterologia presso l’Università di Genova e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Clinica Gastroenterologica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, che ha scelto Montallegro per la sua attività di libera professione.
– Professore, quali sono le principali intolleranze alimentari?
«Le intolleranze alimentari più comuni sono due: la celiachia, ovvero l’intolleranza al glutine, e l’intolleranza al lattosio. La celiachia è un’enteropatia, una malattia dell’intestino tenue, geneticamente determinata. L’ingestione di glutine in soggetti predisposti scatena una reazione autoimmune che danneggia l’intestino, portando a sintomi variabili come gonfiore addominale (meteorismo), diarrea, irregolarità intestinale e carenze, dalla semplice anemia da carenza di ferro ad altre deficit di oligoelementi. Si stima che una persona su 100 possa essere celiaca, ma molte diagnosi sfuggono, specialmente nell’adulto, dove i sintomi possono sovrapporsi a quelli della sindrome dell’intestino irritabile, condizione che può interessare fino al 40-50% della popolazione. È cruciale identificare la celiachia perché necessita di un trattamento specifico. Una celiachia non diagnosticata e non trattata con una dieta priva di glutine può infatti portare a complicanze serie, come anemia sideropenica, osteoporosi, ipertransaminasemia o la comparsa di altre malattie autoimmuni correlate. L’intolleranza al lattosio deriva invece da un deficit dell’enzima lattasi; la sua mancata gestione non comporta danni a lungo termine per il paziente, sebbene causi disagio».
– Parliamo dell’intolleranza al lattosio.
«L’intolleranza al lattosio è l’altra grande categoria. È causata dall’assenza o carenza dell’enzima lattasi sull’orletto a spazzola delle cellule intestinali (enterociti), una condizione spesso geneticamente determinata o che può manifestarsi con l’età. Chi ne soffre, ingerendo lattosio (un disaccaride), non riesce a scinderlo; questo permane nell’intestino tenue, richiamando acqua per effetto osmotico e causando forte gonfiore addominale e spesso diarrea. È importante ricordare che, sebbene l’intolleranza al lattosio non trattata non comporti rischi rilevanti per la salute a lungo termine, causa notevoli fastidi».
– Quali sono i passaggi per diagnosticare la celiachia?
«In un paziente con sospetto di celiachia – per esempio un familiare di primo o secondo grado di un celiaco, o un individuo con sintomi suggestivi come diarrea, meteorismo, gonfiore o specifiche carenze – il primo passo è un esame del sangue per dosare gli anticorpi anti-transglutaminasi. Questo va sempre associato al dosaggio delle immunoglobuline A (IgA) totali, poiché i celiaci hanno un rischio aumentato di deficit di IgA, il che potrebbe falsare il risultato degli anticorpi specifici. Se gli anticorpi risultano positivi, si procede con una gastroscopia con almeno sei biopsie della seconda e terza porzione duodenale. Un’analisi istologica approfondita confermerà la diagnosi. Con anticorpi e istologia positivi, si definisce il paziente celiaco e si imposta una dieta priva di glutine, idealmente seguita da un dietista specializzato».
– Come si diagnostica invece l’intolleranza al lattosio?
«Può essere diagnosticata con un test genetico o, più comunemente, con un Breath Test (test del respiro). Dopo aver assunto lattosio, il paziente soffia in appositi palloncini a intervalli regolari, fino a quattro ore, per misurare l’emissione di idrogeno nell’espirato. Se il paziente risulta intollerante, la cura consiste nell’eliminare il lattosio dalla dieta o, in caso di assunzione di piccole quantità, nel supplementare con l’enzima lattasi per via orale, in dosi variabili a seconda della quantità di lattosio consumato».
– La celiachia ha una forte radice familiare? E l’intolleranza al lattosio?
«Sì, per la celiachia esiste una predisposizione familiare. Non si tratta di ereditarietà diretta, ma le linee guida raccomandano di screenare con gli anticorpi specifici i parenti di primo e secondo grado dei soggetti celiaci. Per l’intolleranza al lattosio, invece, non c’è questa indicazione specifica di screening familiare».
– Quali sono le cure?
«Per entrambe le condizioni, l’approccio principale è la dieta. Nella celiachia, la dieta priva di glutine deve essere estremamente rigorosa. Un paziente intollerante al lattosio che mangia una mozzarella avrà al massimo disturbi transitori, senza un danno permanente. Al contrario, la celiachia non trattata espone al rischio di complicanze severe come la celiachia refrattaria, l’adenocarcinoma del piccolo intestino e il linfoma a cellule T intestinale, oltre a un possibile aumento del rischio di altre malattie autoimmuni. La dieta priva di glutine, pur non eliminandolo del tutto, riduce significativamente questo rischio. È fondamentale che il paziente celiaco rispetti la dieta. Eventuali carenze (vitamina D, ferro, osteoporosi) vanno integrate, ma una volta che l’intestino tenue recupera la sua funzionalità, il paziente sarà in grado di assorbire nuovamente tutti i nutrienti, riducendo la necessità di integrazioni».
– Ci possono essere delle “zone grigie” nella diagnosi? Un paziente può essere “celiaco a metà”?
«”Celiaco a metà” non esiste. È fondamentale però sapere che, talvolta, un’intolleranza al lattosio può mascherare una celiachia, definita “spuria”. Se un paziente celiaco ha un danno agli enterociti, questi diventano più tozzi e perdono l’orletto a spazzola, causando un deficit secondario di lattasi. Quando il paziente celiaco inizia la dieta priva di glutine, i villi intestinali ricrescono e con essi la capacità di produrre lattasi, risolvendo l’intolleranza al lattosio. Quindi, se si diagnostica un’intolleranza al lattosio in un giovane, specialmente se con altri deficit o patologie autoimmuni come la tiroidite di Hashimoto, bisogna sospettare una celiachia sottostante. I “celiaci potenziali”, invece, sono persone con sierologia positiva (anticorpi presenti) ma con mucosa duodenale normale alla biopsia».
– Come comportarsi in questi casi di celiachia potenziale?
«Si stabilisce un “patto terapeutico diagnostico” tra clinico e paziente. Il paziente viene informato che, nosograficamente, non può essere definito celiaco. Tuttavia, se il paziente è fortemente sintomatico, si può concordare una dieta priva di glutine per prevenire i sintomi. Un paziente asintomatico potrebbe non notare differenze, ma uno sintomatico potrebbe trarne beneficio. Con una dieta aglutinata stretta, è probabile che questo paziente non sviluppi mai le lesioni duodenali, rimanendo un celiaco “potenziale” senza diventare “patente” o manifesto».
– Il test genetico per la celiachia può essere un’indagine significativa?
«Il test genetico valuta la presenza degli aplotipi DQ2 e DQ8. È cruciale capire che questo test non serve a confermare la diagnosi di celiachia, ma principalmente a escluderla. Circa il 99% dei celiaci possiede questi aplotipi. L’assenza di DQ2/DQ8 rende altamente improbabile lo sviluppo della celiachia. Pertanto, il test è utile in casi dubbi: soggetti con anticorpi positivi ma istologia normale, o viceversa, con istologia alterata ma sierologia negativa. Se il test genetico è negativo, si può ragionevolmente escludere la celiachia presente e futura. Al contrario, una positività a DQ2/DQ8 non conferma la celiachia, poiché questi aplotipi sono presenti nel 30-40% della popolazione generale».
– Cosa può offrire Montallegro in questo ambito?
«Montallegro offre un ventaglio completo di specialisti per i pazienti soggetti a intolleranze alimentari. Si parte dal gastroenterologo endoscopista per la diagnosi, supportato da un servizio di anatomia patologica con grande esperienza nelle patologie dell’apparato digerente, essenziale per un’istologia accurata. Vi è poi lo specialista reumatologo per la gestione dell’osteoporosi, frequentemente associata. Importante anche la valutazione ginecologica, dato che pazienti celiaci possono avere problemi di infertilità o abortività ripetuta. Infine, la consulenza dietoterapica o nutrizionistica è cruciale per mantenere il paziente ben curato a lungo termine, garantendo un approccio a 360 gradi».