Davide Gorini è un chirurgo ortopedico affermato, specialista nel ginocchio, ma anche un grande sportivo, come dimostra l’oro ottenuto a Malaga ad inizio luglio, nel campionato Europeo Maxibasket over 45. In finale, la compagine italiana ha battuto la Spagna, padrona di casa, per 55 a 42. Di ritorno in Italia, lo abbiamo intervistato sull’avventura sportiva e la sua professione, che lo vede impegnato a Genova in Open Medica WTC e Carignano e presto anche in Montallegro.

– Quali sensazioni ha vissuto in un torneo così prestigioso, culminato con la vittoria?

«Sensazioni assolutamente positive in quanto la possibilità di vestire la maglia della Nazionale è motivo di assoluto vanto per qualunque sportivo. Poi è stato bellissimo avere la possibilità di giocare al fianco e contro a giocatori che in passato hanno conquistato Olimpiadi, campionati Mondiali o Europei. Invece in campo non ho mai avuto timori reverenziali, per cui sono riuscito a rimanere “freddo” anche in momenti francamente emozionanti – la finale su tutti – e in questo il tipo di lavoro che svolgo, probabilmente, mi ha aiutato».

– C’è un episodio particolare del torneo che vuole ricordare?
«Ricordo il canestro da 3 punti che ho segnato a circa 1 minuto e mezzo dal termine della finale, su passaggio di un compagno – Rombaldoni, medaglia d’argento Olimpiadi Atene 2004 – che ci ha permesso di scavare un divario di 10 punti sull’avversario, la  Spagna».

– Quanto impegno le richiede l’attività sportiva nella sua settimana?
«Dedico allo sport circa 3 sere a settimana con allenamenti da 2 ore ciascuno, al termine della giornata lavorativa svolta in sala operatoria o con visite in ambulatorio».

– La prospettiva particolare del chirurgo “praticante sport” è utile nel comprendere meglio le esigenze dei pazienti? Anche sotto il profilo psicologico?
«Lo sport mi ha insegnato a rispettare le motivazioni personali di ciascuna persona. Per cui cerco sempre di garantire al paziente un risultato che sia in linea con le proprie aspettative, di vita, sportive o lavorative. Penso che la mia professionalità debba essere al servizio delle esigenze del paziente che ho di fronte. Ogni paziente ha un problema e ogni problema ha una soluzione non oggettiva ma, direi piuttosto, “custom made”, ovvero come un vestito fatto su misura rispetto a uno di taglia convenzionale».

– Vuole dare un consiglio – da sportivo e medico – agli over 40 che vorrebbero riprendere l’attività fisica dopo un lungo periodo di inattività?
«Mio personale consiglio, da atleta “senior”: innanzitutto curare il proprio fisico con una corretta alimentazione e abitudini equilibrate; poi ricondizionare progressivamente il nostro fisico a carichi di lavoro crescenti e ricordarsi sempre che la differenza, a una certa età, non è la prestazione, bensì la diversa tempistica di recupero fra uno sforzo e l’altro. E lì bisogna assolutamente accettare la biologia e rispettare il nostro fisico, senza correre il rischio di sovraccaricare articolazioni o muscoli».

– Corretta nutrizione. Preparazione atletica secondo un programma controllato. Fisioterapia. Quanto contano questi aspetti per una soddisfacente attività fisica, ancor più con l’avanzare dell’età?
«L’atleta “senior” oggi può e deve affidarsi a professionisti sanitari – medici specialisti, fisioterapisti, nutrizionisti e preparatori atletici – che gli consentano di raggiungere prestazioni di alto livello, minimizzando i rischi di infortunio. Questo sicuramente è un “upgrade” che consente agli atleti di vivere “una seconda giovinezza”, a dispetto dell’età».

– L’attività medica spesso è una vocazione. Quale professione voleva fare da bambino?
« Ho deciso di fare il medico fin da bambino, infatti ho frequentato il liceo Scientifico proprio per conseguire le basi necessarie a intraprendere appunto il corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Poi lo sport mi ha aiutato nella scelta appunto della Specializzazione Chirurgica Ortopedica, a indirizzo sportivo e protesico».

– Come ha scelto la sua specializzazione e perché? C’è stato un suo maestro, oppure un episodio, che ha influito su questa scelta?
«Mi sono formato professionalmente nell’ambiente universitario genovese e ringrazio sicuramente il professor Felli che mi ha permesso di frequentare anche altre strutture e di conoscere professionisti del calibro del dottor Pietro Rettagliata (in primis amico, ma anche maestro e collega) e del dottor Nicola Ivaldo. Potrei citare molti altri colleghi dai quali ho appreso la mia professione, in quanto penso che ogni volta che si ha la possibilità di confrontarsi con altre persone, quello sia sempre un momento di crescita».

– Ricorda un caso che ha segnato la sua attività?
«Recentemente, insieme a Pietro Rettagliata, abbiamo eseguito un impianto protesico, con tecnica robotizzata, su una paziente che non camminava più autonomamente a causa di una deformità in valgo del ginocchio di 26°. Ricorderò a lungo questo caso, non tanto per la “difficoltà chirurgica” che comunque fa parte del nostro lavoro, ma soprattutto per aver ridato completa autonomia a un paziente chiuso in casa da anni che dipendeva dal coniuge per qualsiasi attività quotidiana. Questi casi, insieme ai casi di pazienti sportivi di alto livello, come cestisti di serie A o calciatori professionisti, mi regalano emozioni che vanno al di là della semplice soddisfazione per il gesto chirurgico ben riuscito».

– Dove sarà la sua specialità fra 5/10 anni? Quali sono i trend che trasformeranno il suo lavoro e quali elementi resteranno immutati?
«Difficile fare previsioni da qui a 10 anni, in quanto la chirurgia ortopedica sta subendo un processo di crescita esponenziale grazie alla continua evoluzione dei materiali e dei disegni protesici. Già oggi stiamo eseguendo interventi di impianto protesico che sono praticamente “su misura” per ogni singolo paziente e questo grazie ai nuovi design protesici e ai sistemi di navigazione assistita robotizzata. Resterà sicuramente immutata la capacità professionale di capire quale impianto protesico o quale tecnica chirurgica possa essere la migliore per garantire al paziente il migliore risultato possibile: in pratica penso che resterà immutata la professionalità con la quale ogni giorno ognuno di noi approccia i propri pazienti».

– Quale sarà l’innovazione che si attende a breve nel suo lavoro e che cosa comporterà?
«In parte ho già detto sopra: nel futuro prossimo saranno disponibili sistemi diagnostici e di ausilio al chirurgo che ci permetteranno di eseguire impianti protesici assolutamente modellati al 100% su quel determinato paziente. Questo ci consentirà di garantire risultati migliori e di diminuire ulteriormente la percentuale di complicanze post operatorie. In ambito di “sport medicine”, invece, saranno il miglioramento delle tecniche chirurgiche e della riabilitazione precoce post intervento a fare la differenza. I pazienti, anche non sportivi di prima fascia, potranno usufruire di tecniche chirurgiche di avanguardia e di staff di riabilitatori di alto livello come quelli che già oggi troviamo qui nelle nostre strutture, in Montallegro e in Open Medica WTC e Carignano».

Scritto da:

Redazione