Il cuore è da sempre il simbolo universale delle nostre emozioni più profonde, lo “scrigno” in cui custodiamo sentimenti e passioni. Espressioni di uso comune – come “avere un tuffo al cuore”, “spezzare il cuore” o “avere il cuore in gola” – attestano la radicata percezione di un legame indissolubile tra questo organo vitale e i nostri stati d’animo. Oggi, la scienza conferma che questa relazione va ben oltre la pura metafora. L’abbiamo approfondita con Gabriella Biffa, già Direttore dell’Unità Operativa di Psicologia Clinica e Psicoterapia presso l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, Professore a Contratto all’Università degli Studi di Genova, incontrata in Montallegro, che ha scelto per la sua attività di libera professione.

«Per lungo tempo, la ricerca ha ritenuto che la genesi delle emozioni fosse appannaggio esclusivo del cervello e, in particolare, del sistema limbico, il cosiddetto “cervello emotivo”. Tuttavia, le evidenze più recenti hanno evidenziato come le emozioni possano nascere anche da un’attività cardiaca. Quindi, il cuore, inviando dei segnali al cervello, contribuisce attivamente alla creazione della nostra esperienza emotiva. Questa interazione è bilaterale e costituisce un continuo rapporto tra cuore e cervello».

Questa interazione bidirezionale implica che il cuore non sia solo un “bersaglio” delle emozioni generate altrove, ma un vero e proprio co-protagonista. Quando si manifestano sentimenti intensi, il battito cardiaco subisce alterazioni misurabili.
«Stati emotivi come stress, ansia, soprattutto se prolungati nel tempo, possono avere un impatto negativo sul cuore, così come disturbi psichici – come la depressione – possono rappresentare dei fattori di rischio per patologie cardiovascolari» prosegue Gabriella Biffa, sottolineando l’urgenza di riconoscere e trattare il disagio psichico per la prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiache. Per contro, conclude l’esperta «sentimenti positivi possono contribuire alla protezione del cuore».