Nel percorso diagnostico del tumore alla prostata, l’esame istologico rappresenta il momento cruciale. È l’analisi al microscopio del campione prelevato (agobiopsia) che non solo conferma o esclude la presenza di un adenocarcinoma, ma fornisce al clinico una “carta d’identità” dettagliata della neoplasia.

Questa refertazione è fondamentale per stabilire la strategia terapeutica e definire la prognosi del paziente. Ne parliamo con Paola Baccini, già direttore della S.C. Anatomia e Istologia Patologica di ASL4 Tigullio e oggi responsabile del Laboratorio Analisi di Montallegro – in particolare dell’Anatomia Patologica – che spiega il rigore del processo e i punti chiave che un referto deve contenere.

«L’esame istologico è in grado di fornire indicazioni utili al curante affinché possa essere impostata un’adeguata terapia, ma anche informazioni di tipo prognostico.
Le agobiopsie prostatiche da tempo pervengono in laboratorio in biocassette contrassegnate dall’urologo al momento del prelievo; questo perché la minor manipolazione possibile consente una migliore processazione di materiale comunque molto delicato».

Identificata la presenza dell’adenocarcinoma, il referto deve contenere alcuni elementi fondamentali.
«Innanzitutto, la sede della neoplasia, poi l’istotipo, l’estensione della stessa (valutata in millimetri o percentualmente), la presenza o meno di invasione perineurale e il grading istopatologico, secondo Gleason e secondo il gruppo di grado.
In caso di adenocarcinoma con gruppo di grado 2 o 3, dovremo aggiungere nella nostra descrizione quale percentuale di Gleason con pattern 4 è presente, dal momento che un pattern 4 è prognosticamente meno favorevole. Infine, nel nostro referto, abbiamo la necessità di indicare, laddove presente, la patologia benigna associata che può essere riferibile ad atrofia, iperplasia o infiammazione cronica».