Dalla prevenzione alla cura: le nuove frontiere contro il melanoma
Intervista all'oncologa Paola Queirolo sui fattori di rischio, le nuove abitudini e le terapie che stanno cambiando la cura di questa malattia
Mi dica, dottore
Il melanoma è oggi una delle neoplasie più frequenti nei paesi occidentali, con un’incidenza in forte crescita soprattutto tra i giovani. In Italia, nel 2024, si stimano 17mila nuovi casi. Le ragioni di questo aumento e, soprattutto, le straordinarie innovazioni terapeutiche che hanno rivoluzionato la prognosi della malattia sono al centro dell’intervista con l’oncologa Paola Queirolo, tra i massimi specialisti in Italia per i melanomi e i tumori cutanei, che ha scelto Montallegro per la sua attività di consulenza specialistica.
– Il melanoma è in forte aumento, anche tra i giovani. Al di là dell’esposizione solare, quali fattori sociali o stili di vita emergenti alimentano questa crescita?
«In dieci anni il melanoma è diventato il quinto tumore per incidenza nel nostro paese e il terzo tumore per incidenza nei giovani, con un aumento significativo prima dei 40 anni. La causa principale risiede in particolare nelle scottature solari subite entro i 20 anni. Molti studi sottolineano quanto siano determinanti le ustioni tra i 15 e i 20 anni, periodo in cui i ragazzi iniziano a gestire la propria esposizione al sole in autonomia, spesso senza un’adeguata protezione. Mentre le campagne di prevenzione sui bambini hanno avuto successo, come dimostra l’esperienza australiana o progetti come “Il Sole per Amico“, raggiungere gli adolescenti è molto più complesso. Da un sondaggio dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) è emerso che per molti giovani “mettere la crema è da sfigati”. Questo ci dice che c’è un enorme lavoro culturale da fare, magari coinvolgendo influencer e sportivi che abbiano presa su di loro».
– Perché l’incidenza è aumentata? Cos’è cambiato in questi anni e chi è più a rischio?
«Sono cambiate radicalmente le abitudini. Faccio un esempio. Vent’anni fa non era comune fare vacanze di dieci giorni alle Maldive a Natale con bambini piccoli, esponendo una pelle totalmente impreparata a un sole molto intenso. Questo tipo di esposizione intermittente e violenta, la cosiddetta “abbronzatura mordi e fuggi”, è un fattore di rischio determinante. I fattori di rischio si dividono in immodificabili e modificabili. Quelli immodificabili sono le nostre caratteristiche: il fototipo 1 (capelli rossi, pelle chiarissima che si scotta e non si abbronza) e il fototipo 2 (capelli biondi, occhi azzurri, pelle chiara) sono i più vulnerabili. Esiste poi una predisposizione genetica e familiare, con mutazioni germinali che possiamo identificare con un prelievo di sangue. In Liguria, per esempio, esiste un ceppo genetico di derivazione celtica che aumenta molto la probabilità di sviluppare un melanoma in seguito a scottature».
– E per quanto riguarda i fattori modificabili, ovvero le nostre abitudini?
«Il principale è evitare le scottature. Studi recenti dimostrano che anche solo cinque scottature significative, di secondo grado con lesioni bollose, prima dei 20 anni aumentano drasticamente il rischio. La prevenzione si basa su regole di buon senso: evitare di esporsi nelle ore centrali, usare indumenti protettivi, cappellini, occhiali da sole e cercare l’ombra. Le creme solari sono fondamentali, ma non sono uno scudo totale. Un filtro 50+ va applicato nella quantità corretta, circa 30-40 grammi per tutto il corpo, ovvero una quantità che dovrebbe portare a consumare un’intera confezione in pochi giorni di vacanza. Inoltre, la sua efficacia è ridotta dal sudore o dai bagni in mare, quindi va riapplicata frequentemente. Non ci si può affidare ciecamente alla crema per stare al sole senza limiti».
– Quando la prevenzione non basta e arriva una diagnosi di melanoma, qual è il percorso per il paziente?
«Fortunatamente, essendo un tumore cutaneo, è facilmente riconoscibile. In oltre il 70% dei casi la diagnosi avviene in stadi precoci, quando il melanoma è sottile, e la semplice escissione chirurgica garantisce la guarigione. Per melanomi più spessi, la chirurgia si estende con la ricerca del linfonodo sentinella. Se questo risulta interessato o se il tumore ha caratteristiche di aggressività, oggi disponiamo di terapie adiuvanti, cioè post-chirurgiche, sia immunologiche sia a bersaglio molecolare – la cosiddetta medicina di precisione – che assicurano la guarigione in circa l’80% dei pazienti. Nella fase metastatica, le stesse strategie terapeutiche hanno prodotto una vera rivoluzione: oggi guarisce il 50% dei pazienti. Dieci anni fa, con la sola chemioterapia, la speranza di guarigione era quasi nulla, intorno al 2%».
– Una rivoluzione in dieci anni. Cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo decennio?
«Ci aspettiamo una medicina di precisione applicata anche all’immunoterapia. Il futuro è associare agli anticorpi monoclonali delle terapie personalizzate. Sono già in corso studi su vaccini creati con le cellule del tumore stesso del paziente, che vengono somministrati insieme all’immunoterapia per potenziarne l’effetto. Un’altra frontiera è usare i linfociti del paziente che infiltrano il tumore: vengono prelevati, coltivati in laboratorio per espanderne il numero e poi reinfusi. Parallelamente, la ricerca si concentra sui meccanismi di resistenza, per capire perché nel restante 50% dei casi metastatici le terapie non funzionano e come possiamo superare questo ostacolo».