Negli ultimi 10 anni il numero di interventi di artroscopia d’anca è cresciuto in maniera piuttosto significativa. Sulla base dell’aumento di questo tipo di chirurgia e della differente complessità delle diverse procedure esistenti si rende necessaria la creazione di appropriati protocolli di riabilitazione per soddisfare adeguatamente gli obiettivi delle varie tecniche chirurgiche.

Sul tema della riabilitazione dopo questo intervento, la dottoressa Maria Teresa Pereira Ruiz, fisiatra nel centro di fisiokinesiteria di Villa Montallegro, ha tenuto una relazione al Settimo Congresso internazionale della Società italiana di artroscopia tenutosi a Venezia. L’impingement femoro-acetabolare (inpingement o conflitto è l’esito di patologie dell’anca che provoca un contatto abnorme tra le due componenti articolari dell’anca, cioè acetabolo e il femore) presenta molte possibili cause e spesso è congenito. Per questo, prima di iniziare un trattamento riabilitativo dopo l’intervento di chirurgia artroscopica, è necessario studiare con particolare attenzione la storia del paziente.

Le quattro fasi della riabilitazione

Nell’ambito delle fasi della riabilitazione si identifica un periodo di protezione che può arrivare a quattro-sei settimane a seconda della situazione. L’obiettivo di questa fase è di ridurre l’infiammazione e di acquisire progressivamente un range di mobilità dell’anca. È fondamentale andare a recuperare tutti i meccanismi neuromuscolari alterati prima dell’intervento. Nella fase postoperatoria, che dura un paio di settimane, si prescrivono esercizi quotidiani a casa, esercizi di isometria per la muscolatura coinvolta (trasverso dell’addome, quadricipite, glutei) e bisogna effettuare delle circonduzioni (rotazioni) dolci dell’anca per evitare aderenze postoperatorie. Una delle componenti principali di questa fase di riabilitazione sono la stabilizzazione dell’anca e il suo riallineamento: il rinforzo dei muscoli profondi che presiedono alla rotazione, fra cui il muscolo quadrato del femore, il gemello superiore, il gemello inferiore, l’otturatorio interno.

Dopo due settimane, il paziente può cominciare a lavorare giornalmente senza resistenza con la cyclette sulla mobilizzazione dei tessuti molli, con un massaggio focalizzato sul gruppo muscolare degli adduttori, sul tensore della fascia lata e sul retto e sul tendine retto-femorale. Il programma comprende anche la riabilitazione in acqua e punta a dare al paziente la possibilità di camminare con pieno carico e l’assenza o la riduzione al minimo del dolore. Analoga importanza ha il recupero dell’equilibrio: infatti vengono introdotti progressivamente esercizi specifici per il muscolo psoas (collega le gambe alla colonna vertebrale, collabora al mantenimento dell’equilibrio e al sostegno della nostra struttura ossea; in Oriente è definito “muscolo dell’anima”) e recuperare progressivamente la funzione del muscolo gluteo.

La fase tre riporta perfettamente in funzione il carico in assenza di dolore. In questo periodo vengono misurati gli angoli di movimento dell’articolazione dell’anca con l’attivazione di tutti i muscoli che presiedono a questa articolazione.

La fase quattro ha come obiettivo principale la completa restituzione ad integrum (cioè all’integrità) e, per gli sportivi, l’inizio dell’attività di performance atletica. In sintesi la riabilitazione successiva all’artroscopia d’anca deve essere basata sull’individuo e su una valutazione di performance dei risultati, piuttosto che sui tempi di recupero. Il carico e il movimento sono basati su differenti momenti anche in relazione al tipo di chirurgia seguita.

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